Le virtù del microcredito made in Italy
di Paolo Bricco
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Esiste – si sta affermando – una via italiana al microcredito. Come fenomeno culturale. E come pratica economica che sta cambiando – goccia dopo goccia, in microcosmi sempre più coesi e robusti - le idee di credito e di garanzia. Si tratta di una via pienamente inserita all’interno della tradizione europea, che in Francia, con il personalismo cattolico, ha posto al centro di ogni cosa la persona, che in Germania, con l’economia sociale di mercato, ha costruito nel Novecento una alternativa al binomio liberalismo-socialismo e che in Italia - attraverso il credito cooperativo - ha per esempio elaborato una sua logica materiale specifica, nel senso del rapporto fra il singolo e la comunità, fra l’efficienza economica e il bene collettivo. Più, naturalmente, il pensiero della Chiesa Cattolica che, nella sua universalità, fabbrica prassi e concetti inserendoli nell’edificio dell’economia sociale di mercato. «Il microcredito – nella sua duplice dimensione di opzione culturale e di elemento fattuale - passa concretamente dall’interno del sistema bancario», spiega Angelo Maria Petroni, presidente del comitato scientifico dell’Ente nazionale per il microcredito. Non rimane fuori dal sistema bancario. Non gli va contro, ma opera con esso. Sì, perché il microcredito appare una sorta di auto-riformismo, una formula diversa e complementare – coerente con la realtà dell’Occidente in cui il credito è una infrastruttura che tutto innerva – rispetto alla Grameen Bank, fondata nel 1983 dall’economista Muhammad Yunus in un Bangladesh. Nel Bangladesh e in India, i destinatari del microcredito sono gli ultimi della terra. Le cifre in gioco sono molto piccole. In Italia, sono gli artigiani e i piccoli imprenditori, le donne e i giovani interessati a sviluppare una idea, ma privi di garanzie reali. Intorno a loro si crea – prima, durante e dopo il conferimento del denaro – una rete di servizi e di tutoraggio, che li aiuta a realizzare il loro progetto e a ridurre al minimo il rischio del fallimento. Un modello particolare, a cui molti osservatori del Sud America e del Centro America stanno guardando con interesse. «La crisi del 2008 – riflette Petroni - ha disarticolato il sistema economico internazionale. E ha minato i paradigmi della modernità occidentale prevalente».
Nel tempo del cambiamento – nel pensiero economico e nella fisiologia finanziaria della società – l’esperienza italiana – sondata e sostenuta dall’Ente nazionale per il microcredito, ma promossa anche da banche, da fondazioni ex bancarie e da un nugolo di attività dal basso – si sta costruendo appunto una sua specificità. In Italia, fra il 2011 e il 2014, sono stati erogati microcrediti per 370,3 milioni di euro. Il 74,8% è stato destinato a finalità produttive (creazione o sviluppo di iniziative di microimprese o di lavoro autonomo). Il resto - il 25,2% - a finalità sociali (iniziative di inclusione sociale o di sostegno economico a favore di soggetti in condizioni di vulnerabilità). Nel 2014, l’Ente nazionale per il microcredito ha calcolato che sono stati erogati complessivamente 11mila 428 prestiti, equamente ripartiti fra finalità produttive e finalità sociali. Esiste una sostanziale differenza tra il valore medio delle operazioni di microcredito produttivo e il valore medio di quelle di microcredito sociale: l’importo medio delle prime, fra il 2012 e il 2014, si è attestato a 19mila 760 euro (21mila 303 euro nel solo 2014); il valore medio delle seconde, nello stesso periodo, è stato pari a 4.668 euro (4.499 euro nel 2014). Certo, in valore assoluto i numeri sono piccoli. Ma la dinamica appare interessante. Dal 2011, anno in cui l’ammontare del microcredito era pari a 37 milioni di euro, il tasso di crescita medio annuo è stato pari all’80 per cento. Inoltre, la penetrazione nel sistema bancario appare oggi tutt’altro che irrilevante: sono dodici le banche, con 1.109 filiali, che hanno stipulato convenzioni con l’Ente nazionale per il microcredito. Il modello di quest’ultimo prevede, oltre all’intervento del Fondo centrale di garanzia, appunto la valorizzazione dei servizi di tutoraggio.
Le aziende che ne hanno beneficiato sono state 3.800. Secondo l’analisi dell'Ente nazionale per il microcredito, sulla base di un monitoraggio effettuato per conto del Ministero del Lavoro, chi ha beneficiato di microcredito produttivo ha generato in media 2,43 posti di lavoro. Dal 2011 al 2014, il microcredito produttivo ha nel suo complesso creato oltre 34.000 posti di lavoro. Dal 2015, le sole operazioni realizzate dalle 12 banche convenzionate con ’Ente hanno generato oltre 9.200 posti di lavoro. Considerando l’intero biennio 2015-2016, e ampliando il raggio anche agli istituti di credito non collegati all’Ente nazionale per il microcredito ma direttamente connessi al Fondo Centrale di Garanzia, per il 2016 si stimano 200 nuove convenzioni per un plafond di erogazione di 700 milioni di euro. Una cifra che, nel nostro Paese, dovrebbe soddisfare l’intero fabbisogno annuo di microcredito. Considerando che ogni erogazione – per un importo massimo di 25mila euro – ha una leva sull’occupazione pari a 2,43, si dovrebbe registrare la creazione di 68mila posti di lavoro.
Tutto questo si verifica in un meccanismo di efficienza significativa. Come ha detto il Cardinale Peter K. A. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, al Terzo Forum Europeo della Microfinanza: «I risultati ottenuti dal settore del microcredito e della microfinanza, e in particolare i bassi tassi di sofferenza da cui sono caratterizzate le loro operazioni, ci dimostrano come sia possibile fondare un modello di business del credito sui valori della dignità, della solidarietà e della sussidiarietà».
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