ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùCrisi aziendali

Lear in ginocchio, il Piemonte trema per i mille addetti ex Ilva

Nella regione pesano le incertezze sui volumi dell’automobile a cominciare da Maserati che ha dimezzato la produzione rispetto al 2022. Le due fabbriche di Acciaierie d’Italia lavorano a singhiozzoI punti chiave

 Le produzioni Maserati a Mirafiori sono in una fase delicata, con all’attivo 7mila autovetture realizzate da gennaio a settembre, la metà rispetto all’anno scorso

3' di lettura

La crisi della Lear riflette il momento complicato di un pezzo importante dell’universo industriale dell’auto in Piemonte, quello relativo alla produzione di auto Maserati. Il brand sportivo è stato al centro del rilancio produttivo di Torino grazie alla fabbrica di Grugliasco, ora dismessa, e alla specializzazione sulle vetture nel comparto alto di gamma. Oggi le produzioni Maserati a Mirafiori sono in una fase molto delicata, con all’attivo 7mila autovetture realizzate da gennaio a settembre, la metà rispetto all’anno scorso. In prospettiva c’è la fine dei modelli Ghibli e Quattroporte e la promessa che la nuova Berlina del Tridente sarà prodotta a Torino. Un impegno che non ha convinto né la Fim-Cisl né la Fiom-Cgil, dopo l’ultimo incontro con l’azienda.

Alla Lear intanto – oltre 400 addetti – si passerà dai contratti di solidarietà alla cassa integrazione straordinaria, fino al 31 dicembre, poi serve un piano industriale per tutelare lo stabilimento di Grugliasco, alle porte di Torino. Per questo i sindacati hanno incontrato, oltre all’azienda, anche la Regione, che verificherà possibili strade con il ministero mentre gli operai sono in stato di agitazione permanente.

Loading...

Dopo Taranto e la Liguria, il Piemonte è la terza area italiana per rilevanza della presenza di Acciaierie d’Italia con i due stabilimenti di Racconigi (cento addetti) e Novi Ligure (500). «Si tratta di fabbriche di cui si parla poco ma che sono inserite dentro quello che possiamo definire come il “girone dantesco” dell’ex Ilva» sottolinea Valter Vergnano segretario della Fiom del Piemonte. I sindacati metalmeccanici chiederanno a breve un incontro alla Regione Piemonte per alzare il livello di attenzione su questa importante realtà produttiva, che va avanti a singhiozzo, tra commesse che arrivano da Taranto e cassa integrazione. «La nostra sensazione è che l’azienda sia in disarmo, nelle fabbriche non si fa la necessaria manutenzione tanto che a Novi Ligure – riassume Vergnano – la Asl ha bloccato un carro ponte con gravi inefficenze al sistema dei freni». In Piemonte di fanno lavorazioni minori destinate però al mercato, quindi i due poli industriali hanno una loro autonomia, anche fuori dal perimetro di Acciaierie d’Italia. Il 20 ottobre scorso c’è stata la manifestazione nazionale a Roma per tenere alta l’attenzione su uno degli asset industriali più importanti del Paese. «Siamo molto preoccupati perché tra dipendenti diretti e indotto, logistica compresa, abbiamo almeno mille lavoratori che gravitano intorno ad Acciaierie d’Italia» aggiunge Vergnano che fa riferimento alle due ipotesi peggiori per il futuro delle fabbriche piemontesi: la possibilità che vengano travolte dal tracollo del Gruppo controllato da AcelorMittal oppure l’ipotesi di sacrificare questi due poli nel quadro di una cessione a terzi non vantaggiosa per la tutela dei livelli occupazionali.

In trincea secondo il segretario regionale della Cisl, Luca Caretti, c’è il settore della Logistica e dei Trasporti – 80mila addetti e 13mila imprese – per le ripercussioni sulle aziende locali derivanti dalla chiusura del Tunnel del Monte Bianco e del collegamento ferroviario del Frejus. «La situazione è critica e le chiusure stanno avendo effetti pesanti su logistica e trasporti» sottolinea Caretti. La regione, aggiunge, «deve sfruttare la sua posizione di frontiera, all’incrocio tra due corridoi europei, ma non si è investito abbastanza e ora paghiamo un prezzo alto. Credo che il tema delle infrastrutture vada messo al centro dell’agenda politica, si tratta della più importante opportunità per il Piemonte, sia per la capacità di attrarre imprese produttive sia per aumentarne la competitività».

Nell’economia piemontese, che nel primo semestre dell’anno ha messo a segno una crescita record delle esportazioni rispetto alla media italiana – a quota 32,8 miliardi di euro, con un aumento del 15,6% sul 2022, contro la media italiana del +4,2% – si registrano i primi segni di un rallentamento deciso.

Le previsioni delle imprese sentite da Confindustria Piemonte nel report trimestrale mettono in evidenza un saldo negativo, tra ottimisti e pessimisti, su tre fronti: produzione, redditività e, soprattutto, ordini dall’estero. Un trend che si traduce nell’allarme di una fetta dell’industria piemontese, soprattutto nel settore automotive, che vede frenare l’economia tedesca – la Germania è il primo paese di destinazione delle esportazioni – e prevede la necessità di far ricorso alla cassa integrazione, nei prossimi mesi, per far fronte al calo di commesse e ordinativi. Anche il fronte lavoro rallenta: l’ultima rilevazione del sistema Excelsior, in capo al sistema camerale, parla di 33.540 contratti programmati dalle imprese piemontesi per ottobre 2023, valore che sale a 84.780 se si considera l’intero trimestre ottobre-dicembre. Un trend decisamente negativo sia a livello mensile (-400 entrate rispetto a ottobre 2022, sia su base trimestrale (-2.680 assunzioni rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente).

Riproduzione riservata ©

loading...

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti