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Leggere, rileggere e riscoprirsi

La pagina bianca è in attesa. Chiama e allontana. Ma il vincolo domenicale esige che essa sia riempita: un tema di pensiero, una curiosità sociologica, un moto di sdegno trattenuto e soffocato

di Natalino Irti

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3' di lettura

La pagina bianca è in attesa. Chiama e allontana. Ma il vincolo domenicale esige che essa sia riempita: un tema di pensiero, una curiosità sociologica, un moto di sdegno trattenuto e soffocato.

Anche avvertiva, quell’oscuro fascino della pagina bianca, quell’ammiccare e respingere, un maestro di stile, il marchese Roberto Ridolfi, che alle brevi prose, con fiorentinesca ironia, dava il nome di “ghiribizzi”, capricci dell’animo; e ne fece una raccolta, che è breviario di garbo letterario e di finezze linguistiche. Scrivere un elzeviro sembrava al marchese fatica quasi più grave e tormentosa delle tre biografie classiche: le vite di Guicciardini, Machiavelli, Savonarola.

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Ma questa domenica è propizia a ”lo spettatore”, poiché gli è stato dato di vivere, e, per così dire, gustare nella mente e nell’animo, due adunanze universitarie (si sogliono definire “eventi” con parola densa di ignoto accadere). Gli incontri si sono svolti nel segno della rilettura: che non è un leggere la prima volta, ma un tornare indietro, e riaprire il libro, e ricominciare il dialogo, che ormai ci trova con altri problemi e nuovi interrogativi. Le riletture traggono noi nel passato, e il passato nel nostro oggi: che è un vedere più a fondo nel vecchio libro, ed anche più a fondo in noi stessi.

Il problema della rilettura si è presentato, nella sua limpidità storiografica, nel trovarsi, l’una dinanzi all’altra, due età tra ventesimo e ventunesimo secolo. Nell’Aula Magna de “La Sapienza”, il grande affresco di Mario Sironi, quasi ridestato nell’operosa molteplicità delle sue figure, ha abbracciato una vasta platea di studiosi, chiamati, per acuta ideazione di un giovane docente, Giovanni Perlingieri, a “rileggere” libri rilevanti (il “classici” era cautamente rinchiuso tra virgolette) nella storia del diritto civile. A rileggere, e dunque interrogati intorno ai problemi dell’oggi, ed esposti all’alternativa di ciò che è vivo e ciò che è morto: quel poco, che ha lasciato durevole traccia; e quel tanto, che rimane nell’ieri, reso tacito e spento – direbbe Nietzsche – nel “selvaggio fiume del divenire”.

C’è, al di là del giudizio storiografico, stretto per sua propria indole nel distinguere e segnare differenze, il comune e solidale appello alla memoria, sicché problemi e soluzioni non appaiano germogliati nella quotidianità, ma venuti dal passato. Questa è la giustizia che si deve ai vecchi maestri, i quali ben conoscevano e vivevano la “vocazione professionale della scienza”, il convincimento (per usare le parole del grande Max Weber) che «il destino della sua anima dipende proprio dall’esattezza di quella particolare congettura in quel passo di quel manoscritto». Umiltà, o interiore orgoglio, di sentirsi come anello di una catena, in dialogo con studiosi futuri di quel testo, disputanti intorno a quella tal congettura interpretativa.

Appello alla memoria si è levato anche all’Università di Padova, celebrante gli ottocento anni della fondazione, dove Manlio Miele, autorevole cattedratico di diritto canonico, e perciò intimamente immerso nella storia, ha promosso la “rilettura” di un corso di lezioni tenuto, la lontana primavera del 1951, su “La crisi del diritto”. Qui non era dialogo sereno e pacato tra l’ieri e l’oggi, ma incalzare di domanda sulla crisi, su questa lacerante svolta, che segna rovina di vecchi ordini e nascita di nuove forme di convivenza. Mentre a Roma si tessevano i fili della tradizione (che è, appunto, un “tradere”, un consegnare da una ad altra epoca), a Padova si pativa il dolore della rottura, del vedere scissa e divisa la forma dello Stato moderno. Da un lato, la potenza della tecno-economa, che non si tiene entro alcun confine, e domina il mondo con le scoperte scientifiche e la volontà di profitto; dall’altro, l’inquieto sottosuolo delle antiche nazionalità e delle vite individuali: queste, ora violente e crudeli, ora serrate in tacita angoscia, ora capaci di scuotere la separazione e travolgere il tutto.

La pagina bianca si è andata riempiendo, e così ha consentito all’autore di riguadagnare la distanza dalle cose, ed anche di intravvedere lumi di speranza negli studî di diritto. Quella speranza, che sempre si riaccende quando giovani e fresche generazioni avvertono, e fanno avvertire, la continuità del pensiero.

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