Leonardo secondo Warburg
Il grande intellettuale, noto per la complessità del suo linguaggio, tenne ad Amburgo nel 1899 tre lezioni vinciane che riscossero un grande successo di pubblico
di Salvatore Settis
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«Ricordo una conferenza di Aby Warburg: parlò per due ore di un francobollo, e tutti i verbi arrivarono nell’ultima mezz’ora». Così, parola più parola meno, una nipote del grande storico della cultura e dell’arte (1866-1929), che aveva assistito da bambina a una sua lezione ad Amburgo. Aneddoto attendibile, perché allude all’impervio tedesco di Warburg («tutti i verbi nell’ultima mezz’ora»), e ha un sigillo di autenticità nella menzione del francobollo, sicuramente quello delle Barbados (allora colonia britannica) col re Giorgio V in veste di Nettuno, come aveva fatto il suo predecessore Carlo II in un sigillo del 1662, modellandosi sul dio greco-romano e su Virgilio. Una di quelle micro-mappe della memoria sociale europea che Warburg, inseguendo formule iconografiche come questa, avrebbe versato nel suo atlante Mnemosyne.
«Ebreo di sangue, amburghese di nascita, fiorentino di cuore» come si definiva, Warburg pubblicò poco in vita, e la raccolta dei suoi scritti uscì proprio quando l’avvento del nazismo (1933) obbligò a trasferire in Inghilterra la sua famosa Biblioteca. I suoi collaboratori Fritz Saxl e Gertrud Bing ottennero che il Warburg Institute fosse incorporato nell’Università di Londra, ma non riuscirono a pubblicare i molti inediti di Warburg, nemmeno l’incompiuto Mnemosyne. Warburg restò a lungo poco letto (anche per la difficoltà della sua scrittura, intrisa di citazioni implicite da Goethe, Kleist, Nietzsche...), malgrado la fama dell’Istituto che ne prende il nome. La sua rinascita comincia in Italia, con la traduzione parziale dei suoi scritti promossa da Delio Cantimori (1966), e continua con la Intellectual Biography di Ernst Gombrich (1970, traduzione italiana, Feltrinelli 1983): un libro scritto «con scarsa simpatia intellettuale per chi era l’oggetto della biografia [Warburg], ma che, contro le intenzioni di Gombrich, innescò una vera e propria rinascita di Warburg, che continua fino ad oggi» (così Carlo Ginzburg).
Mostra a Vienna
Quanto a Mnemosyne, le tavole dell’Atlante furono smembrate, ma poi ricostruite prima in una mostra a Vienna (1993) e poi in varie edizioni rivali; in italiano è accessibile sul sito www.engramma.it e in un’edizione Aragno a cura di M. Ghelardi (2002). Una nuova e più accurata ricostruzione sarà in mostra dal 4 settembre a Berlino (Haus der Kulturen der Welt): una «Mnemosyne per il XXI secolo», come ha scritto Berndt Scherer nel magnifico facsimile (Hatje Cantz, 2020).
Pathosformel, «formula di pathos»
Ma Warburg non è solo l’autore di scritti elitari in cui la lingua insegue lo sviluppo del pensiero condensandolo in espressioni fortunatissime (come Pathosformel, «formula di pathos») ma difficili da decifrare. Egli cercò anche di comunicare con un pubblico più vasto e vario, e perciò fu nel 1901 tra i fondatori del Volksheim («Casa del popolo») di Amburgo, che offriva agli operai conferenze, corsi di letteratura, mostre d’arte. Da un simile intento nascono le Tre conferenze su Leonardo, tenute il 18, 20 e 22 settembre 1899 al Johanneum di Amburgo, il liceo dove aveva studiato, davanti a più di 400 persone. È il secondo suo testo tradotto in inglese per cura del Warburg Institute (il primo fu la celebre conferenza sul Rito del serpente presso gli Hopi, 1939), mentre il Blue Book che raccoglie in inglese gli altri suoi scritti fu pubblicato nel 1999 a Los Angeles dal Getty Research Institute. Come scrive Bill Sherman (direttore del Warburg Institute), questa edizione preliminare delle Lezioni su Leonardo celebra in un colpo tre anniversari: il 500° della morte di Leonardo, il 120° delle conferenze stesse e il 75° dell’inclusione del Warburg Institute nell’Università di Londra (1944); l’originale tedesco sarà presto pubblicato a cura di Claudia Wedepohl e Eckart Marchand.
La carriera di Leonardo
Il taglio monografico di queste pagine è inconsueto per Warburg. La carriera di Leonardo vi è seguita dall’apprendistato col Verrocchio alla morte in Francia, spesso con paralleli già allora d’uso, come quando il Cenacolo di Milano è accostato, per contrasto, ai suoi precedenti fiorentini (San Marco, Sant’Apollonia); o a proposito della Battaglia di Anghiari si evoca il cammeo antico con la Caduta di Fetonte in cui Eugène Müntz aveva riconosciuto la fonte del motivo dei cavalli che si mordono a vicenda. E non manca, a catturare l’attenzione del pubblico, l’allusione a un dipinto dei fratelli Suhr allora visibile ad Amburgo (1820-1842), dove la Belle Ferronière di Leonardo sedeva al tavolino di un caffè.
Eppure in una tal cornice convenzionale si sente spesso la zampata del leone. Warburg abitava in quegli anni (1897-1902) a Firenze, e nel 1893 aveva pubblicato uno studio importante sulla Primavera e sulla Nascita di Venere di Botticelli. Prese allora forma una delle sue idee-guida: che la rappresentazione del movimento nel primo Rinascimento fiorentino fosse ispirata da una figura classica che chiamò Ninfa, una fanciulla con capelli e vesti mosse dal vento come l’ancella che entra di fretta sulla scena della Nascita di San Giovanni Battista del Ghirlandaio a Santa Maria Novella. Questa Ninfa, ma anche quelle di Leonardo, ricorre spesso nelle Tre Lezioni: il suo pubblico amburghese non poteva sapere che Warburg era intento a scrivere a Firenze, con l’amico olandese André Jolles, un romanzo epistolare (incompiuto) in cui la Ninfa di Ghirlandaio compariva come fosse viva. In queste Lezioni su Leonardo egli insiste sul significato anti-classicistico della sua Ninfa: «osservare l’influsso dell’antichità nei motivi di un movimento esteriore intensificato non è semplice, giacché da Winckelmann in poi ci siamo abituati ad ammirare nell’arte antica precisamente l’opposto, la “quieta grandezza”(...). Ma nel Rinascimento l’antichità non era, come per noi, una collezione didattica di calchi in gesso, in cui l’arte classica pallidamente sopravvive; per loro era piuttosto la celebrazione di un passato capace di rinascere nelle vive figure in movimento al ritmo delle feste».
Taglienti parole, da leggersi con quelle di uno scritto degli stessi anni in cui Warburg ironizza sulla «quieta grandezza dei calchi in gesso», contrapponendola ai carri con personaggi mitologici delle feste fiorentine, «popolari veicoli (alla lettera) che incarnavano un’antichità viva e immediatamente presente e le davano vita agli occhi del pubblico».
Già in quel 1899 Warburg andava costruendo il tessuto di affinità elettive che avrebbe animato le tavole di Mnemosyne. Basti un esempio: nella prima Lezione, a delineare la formazione del giovane Leonardo, Warburg menziona due blocchi di immagini. Da un lato gli angeli (Battesimo di Cristo del Verrocchio, Tre arcangeli con Tobia di Francesco Botticini), dall’altro due decapitazioni verrocchiesche (Davide con la testa di Golia e San Giovanni decollato). Questa sarà precisamente, trent’anni dopo, la struttura della tavola 47 di Mnemosyne: gli Arcangeli del Botticini al centro, e poi angeli-ninfe da una parte, “cacciatrici di teste” (Giuditta e Salomé) dall’altra. Mnemosyne era di là da venire, ma se ne andavano formando gli antefatti.
Nella terza Lezione Warburg scrive che Leonardo «una volta impadronitosi del vocabolario e della grammatica di un nuovo linguaggio, cercò di esprimere se stesso in modi condensati e succinti». Righe, forse, inconsapevolmente autobiografiche: il Warburg trentenne che le scrive vuole lanciare le sue tesi sia nel mondo (riluttante) degli specialisti sia in un più vasto pubblico; cerca le parole per dirle agli uni e agli altri, ma si prepara a condensarne la sostanza intensificandone mediante il linguaggio il potere programmatico, la forza profetica.
Three Lectures on Leonardo. 1899, Aby Warburg, Traduzione dal tedesco di Joseph Spooner (con la collaborazione di Claudia Wedepohl). Premessa di Bill Sherman e introduzione di Eckart Marchand, The Warburg Institute, Londra, pagg. 56
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