Lessico di un filosofo laico
di Michele Ciliberto
5' di lettura
Contano le date, contano le generazioni: Tullio Gregory apparteneva, con un timbro originale, alla generazione degli storici della filosofia nati negli anni Venti o nei primi anni Trenta del secolo scorso: quella che iniziando a lavorare dopo la guerra, negli anni Cinquanta, ha rinnovato in modo profondo i caratteri del lavoro storico-filosofico nel nostro paese, distanziandosi in modo netto dalla grave, e complicata, eredità di Croce e di Gentile.
Mi limito a citare pochi nomi e pochi testi, solo a titolo di esempio: Storicismo tedesco contemporaneo di Pietro Rossi (1956), Francesco Bacone di Paolo Rossi (1957), Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e mnemotecnici del Bruno di Vasoli (1958), John Locke di Viano (1960), Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi di Gregory (1961), Sistema e ricerca in David Hume di Santucci (1969). Sono nomi ai quali se ne potrebbero aggiungere senza difficoltà altri, un po’ più giovani: Casini, Pacchi... Sono tutti autori e testi accomunati da una consapevole revisione dei canoni metodologici e storiografici sia di Croce che di Gentile e da una forte e programmatica attenzione alla filosofia europea nei suoi punti più alti e più significativi. E oggi sono tutti, nei rispettivi ambiti, dei punti di riferimento, dei classici, se la parola non appare eccessiva.
Naturalmente, come insegna il filosofo, non si esce dal proprio tempo come non si esce dalla propria pelle. Quei libri si connettevano anche a un clima culturale preciso e ad una lezione metodologica raffinata: non si capirebbero se non si tenesse presente – ma sono solamente due esempi – ciò che in quegli anni hanno rappresentato il «neoilluminismo» di Abbagnano, Bobbio, Geymonat (autore dei Saggi di filosofia neorazionalistica, usciti nel 1953, un testo fondamentale) e la Filosofia come sapere storico di Garin, compresa la discussione che i contributi poi raccolti in quel volume suscitarono. Un libro, quello di Garin, essenziale per comprendere il lavoro di Gregory (a cominciare proprio dal libro su Gassendi), di Vasoli, di Rossi – per il quale è stata decisiva la lezione di Banfi –, e di cui è diventato poi di moda parlare male da parte delle generazioni successive, a proposito delle quali varrebbe la pena di utilizzare le battute di Contini sugli «juniores fruenti di alcuni risultati postcrociani quando ormai erano trapassati in moda, senza loro sudore».
Quella generazione riuscì ad imporre in Italia il primato della storia della filosofia negli studi filosofici e, sul piano internazionale, a far identificare la filosofia italiana con ciò che veniva prodotto nell’ambito della storia della filosofia. Volendo proporre una periodizzazione, è la prospettiva che si incrina negli anni Settanta, quando nella nostra cultura si apre una crisi della cultura storica in generale, compresa la storia della filosofia, anche per l’irrompere delle principali tendenze filosofiche europee, le quali fino ad allora erano stare contenute o combinate e assorbite in motivi propri della filosofia italiana. È un intero clima che allora cambia: la filosofia si scioglie dalla dimensione storica. Inizia un’altra epoca, nella quale siamo ancora immersi.
Di questa generazione, e di questa lunga storia, Gregory è stato un pernio centrale, con una forte originalità, generata, certo, anche dalle personalità con cui venne formandosi – da Buonaiuti a Nardi. E il tratto più originale della sua personalità di studioso – e della sua indomabile capacità di resistere senza arretrare alle mode del tempo – si è espresso nella fondazione del Lessico Intellettuale Europeo, con tutto ciò che questo ha significato. Con il Lessico Gregory decise – e fu una scelta strategica – di concentrare la sua attenzione sui problemi lessicali, con uno slittamento progressivo dalla storia della filosofia alla storia delle idee. Basta scorrere il catalogo dei volumi pubblicati dal Lessico per comprendere la riforma profonda attuata con quel lavoro nel campo degli studi storico-filosofici, imperniata su un rapporto organico tra lessicologia, filologia, filosofia, colta, quest’ultima, nella pluralità dei significati che storicamente ha assunto. Non esiste un unico concetto di filosofia, ed è proprio la dimensione lessicale, con le sue trasformazioni, a renderlo evidente. Il lessico è dunque la chiave per accedere al testo, non in termini generici, ma individuandone la struttura specifica espressa dai lemmi, e dalle differenze linguistiche, di cui essa è costituita. Se è nelle differenze che si snoda la storia, esse si svelano nel lessico. E questo non riguarda solo la filosofia ma la produzione intellettuale in tutta la sua complessità.
Per capire cosa questo significhi è sufficiente vedere i problemi affrontati nei volumi pubblicati: traduzioni, trasmissioni dei testi, questioni attinenti la punteggiatura, con una apertura alla filologia d’autore, alle varianti, agli scartafacci, secondo la lezione di Contini e De Robertis. Un modello originale di storia della filosofia, e in generale di storia delle idee: un modello attualissimo con cui non può non confrontarsi chi si propone oggi di lavorare nel campo storico-filosofico.
Gregory non è stato però solo il costruttore del Lessico, un grande organizzatore, un uomo delle istituzioni. Alla storia della filosofia ha dato contributi fondamentali con le sue ricerche sul platonismo medievale, su Cartesio, sui libertini, sull’atomismo secentesco, su Montaigne. È stato un’officina che non si è fermata mai – all’Università, alla Treccani, ai Lincei, con una dedizione totale al lavoro e un’adesione piena alla vita.
Il rapporto tra biografia e filosofia è delicato, ma certo è proprio con Montaigne – con la sua concezione dell’uomo e della ragione: finita, senza illusioni ma al tempo stesso operosa – che aveva maggiori sintonie. Tullio Gregory è stato un grande intellettuale laico, fedelissimo ai valori della cultura moderna nei punti più alti – a cominciare dai libertini sui quali ha scritto pagine fondamentali. Alla base di tutta la sua esperienza c’è una intuizione laica della vita e una concezione laica della ragione. È da questa intuizione della vita e della ragione che scaturisce la sua apertura a una pluralità di sfere della esperienza umana che devono essere riconosciute e apprezzate nella loro autonomia e specificità mantenendo però sempre fermo il primato dell’uomo e della sua libertà.
Si è ricordata in questi giorni la sua passione per la cucina: essa aveva anche questa radice e questa medesima radice aveva la sua intransigente fedeltà all’amicizia, anche in questo caso secondo l’insegnamento di Montaigne. L’amicizia per Gregory è la principale via d’accesso all’altro nel passato e nel presente: la base su cui poter costruire una – per quanto piccola – comunità. Così vissuta l’amicizia è stata il centro in cui si è raccolta la sua personalità di uomo e di studioso e da cui si è irradiata la sua ricca, pudica, inquieta umanità.
loading...