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Lettere agli italiani: Giorgio Strehler per un’Europa imperniata sull’Umanesimo

Per i tipi del Saggiatore è in libreria “Giorgio Strehler, Lettere agli italiani” a cura di Giovanni Soresi

di Flavia Foradini

2' di lettura

Quando alla fine del 1996 l’allora sindaco di Milano, Marco Formentini, auspicava una «direzione seria» per il Piccolo Teatro, diversa da quella di Giorgio Strehler, reo di aver «lasciato in braghe di tela» la sua istituzione, lo strappo tra l’amministrazione comunale e il regista cofondatore del primo teatro stabile italiano era già profondo e slabbrato da eccessi verbali, che sarebbero poi culminati in quell’esortazione del primo cittadino: «Strehler vada a fare il suo canto del cigno altrove».

L’allora vicepremier Walter Veltroni aveva cercato di mediare, e in una lettera a Formentini aveva invitato a evitare «un clima di scontro» e a cercare invece «una collaborazione operosa».

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Dimensione glocale

Il mondo della cultura si era schierato con Strehler, esprimendo il timore che «un patrimonio inestimabile» potesse andare in frantumi. Ma non era servito.Nei cinquant’anni della sua carriera, il rapporto del regista triestino con i vertici del capoluogo lombardo è stato ripetutamente squassato da baruffe che ancor oggi fanno riflettere sulle possibilità di innestare cultura di respiro internazionale in un humus locale, creando una dimensione genuinamente glocale. Coi suoi oltre duecento allestimenti, Strehler riuscì in quell’impresa, creando spettacoli che parlavano allo stesso tempo all’Italia e al mondo, ma che talvolta dispiacevano a poteri locali e nazionali, per via di una libertà di pensiero difficilmente imbrigliabile.

Vita di Galileo di Brecht

Basti pensare all’insidiosa diatriba attorno all’allestimento di Vita di Galileo di Brecht nell’aprile del 1963, oggi considerato una pietra miliare del teatro brechtiano del dopoguerra, ma che tutt’attorno al debutto terremotò l’Italia con una scossa da Milano fino ai palazzi del governo a Roma.Non accade infrequentemente che un intellettuale e artista di spessore sovranazionale venga considerato dalla politica uno scomodo interlocutore, tuttavia avere la possibilità di entrare nelle pieghe di quelle visioni divergenti offre un’utile riflessione sull’ieri e sull’oggi.

Nell’anno del centenario della nascita di Giorgio Strehler, un contributo in questo senso è il volume “Lettere agli italiani”, edito da Il Saggiatore, a cura di Giovanni Soresi. Gli scritti che esso raccoglie includono articoli per quotidiani e riviste, discorsi, appunti di Strehler, che come fa notare Ferruccio de Bortoli nella prefazione, testimoniano di una «passione divorante» che fu culturale, civica e politica. Dalla lettura di quelle pagine, che spaziano dal 1975 al 1996, spicca fra l’altro una concezione della cultura fortemente europea, radicata in un umanesimo sentito come fondamentale comune denominatore del continente. Ma, scriveva Strehler nel maggio 1995, ciò che si osservava prevalere era «il trionfo del particolare, delle economie nazionali, alla ricerca spasmodica di un assetto commerciale conveniente...dimenticando l’Europa dello Spirito, della Poesia, del Suono». L’auspicio del regista era invece che l’arte potesse fare da traino a «mercati, monete e frontiere», diventando « sogno realizzabile per tutti e non solo grande utopia di pochi».

Giorgio Strehler, Lettere agli italiani a cura di Giovanni SoresiIl Saggiatore, pp. 184

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