Lgbt, Black Lives Matter, Draghi su Wembley: Euro 2020 lo vince la politica
L’Uefa contro lo stadio «arcobaleno». Le polemiche sui calciatori inginocchiati e le parole del premier italiano. Benvenuti al torneo sportivo più «politico» di sempre
di Francesco Prisco
I punti chiave
3' di lettura
Chiusi in casa per la pandemia, l’anno scorso ci chiedevamo se Euro 2020 si sarebbe mai disputato e, nel caso, che Europeo sarebbe stato. Un anno dopo, a quanto pare si gioca e, a 20 giorni dalla finale, abbiamo già un vincitore: la politica. Sono gli Europei del Black Lives Matter con relative polemiche; del «vorrei ma non posso» prendere una posizione a favore della comunità Lgbt dell’Uefa e del premier italiano Mario Draghi che, quando c’è in ballo la diplomazia, parla a braccio. E, come nel caso Erdogan, si lascia scappare che forse non è il caso di giocare la finale a Wembley, in casa della variante Delta.
Tra Black Lives Matter e Lgbt
Si è parlato abbondantemente di Black Lives Matter, Take a knee, genuflessioni anti-razziste delle squadre britanniche e senso di spaesamento dell’Italia che, per ora, s’inginocchia a metà, sabato sera contro l’Austria chi lo sa. L’Uefa, intanto, si oppone formalmente alla richiesta del consiglio comunale di Monaco di illuminare il proprio stadio con i colori dell’arcobaleno per l’ultima partita della fase a gironi della Germania contro l’Ungheria. Voleva essere una protesta contro un provvedimento approvato dai legislatori ungheresi la scorsa settimana che proibisce la condivisione con i minori di qualsiasi contenuto che ritrae l’omosessualità o la riassegnazione del sesso.
Il senso di Draghi per Wembley
La federazione calcistica continentale dice di ritenere «che la discriminazione possa essere combattuta solo in stretta collaborazione con gli altri», anche se gli altri si chiamano Viktor Orbán, e di aver proposto che la città di Monaco illumini lo stadio con i colori dell’arcobaleno il 28 giugno per il Christopher Street Day o dal 3 al 9 luglio per la settimana di Christopher Street. E pazienza se non ci saranno ungheresi a giro per la Baviera. Un caso diplomatico diventano poi le parole di Draghi contrario, a disputare la finale di Euro 2020 in «Paesi con alti contagi», leggi Inghilterra. E pazienza se, senza dover aspettare la finale, gli azzurri saranno impegnati a Londra già sabato prossimo. E ci giocheranno per tre delle rimanenti quattro partite, nel caso in cui - come ci auguriamo - dovessero arrivare fino in fondo.
Lo sport è politica (da sempre)
Sappiamo quello che molti di voi stanno pensando: lo sport è una cosa, la politica un’altra, confondere i due campi non giova a nessuno. Anzi: è addirittura pericoloso. E invece no: lo sport è politica. Da sempre. Possiamo scomodare le Olimpiadi di Berlino ’36 che dovevano servire a glorificare il superuomo del Reich ma l’unico superuomo che si vide da quelle parti fu l’afroamericano Jesse Owens. Possiamo scomodare la renitenza alla leva di Muhammad Ali, i pugni al cielo di Carlos e Smith a Città del Messico, persino Maradona che alla vigilia di Italia-Argentina, semifinale di Italia ’90 in programma a Napoli, disse: «Gli italiani si ricordano dei napoletani una volta l’anno». Gli esempi si sprecano. Lasciate perdere discorsi tipo: era meglio una volta, quando gli sportivi pensavano a gareggiare e non parlavano di politica. Perché ai tempi di Roma ci fu addirittura uno sportivo (Spartaco) che dichiarò guerra a Roma. La politica ha sempre usato lo sport e gli sportivi hanno spesso fatto politica attraverso le proprie imprese. Resta da capire perché questo particolarissimo Euro 2020 sta diventando la manifestazione sportiva più politica di sempre. Forse anche in questo caso, dopo un anno di astinenza forzata, tocca recuperare.
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