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Liberazione, lo spirito che manca in questo 25 aprile

Che siano saltati gli schemi e che si debba reagire in modo coerente rispetto alla realtà che si è venuta a creare è un fatto. Lo ha detto subito un protagonista del cambiamento come l'ex presidente della BCE Mario Draghi, un visionario pragmatico che salvò l'euro nel 2012

di Guido Gentili

Per il 25 aprile il jazz italiano canta "Bella ciao" (a distanza)

3' di lettura

C'è 25 aprile e 25 aprile. Quello del 2020 è del tutto particolare, nel Paese dove la metafora della guerra ha dilagato di pari passo al coronavirus. Ricordiamo insieme la fine della seconda guerra mondiale nel 1945 e le decine di migliaia di morti di queste settimane. E allo stesso tempo, nelle stesse ore, mettiamo fuori il naso dalla chiusura per quarantena cogliendo il profumo della ripartenza agognata, pur tra l'indispensabile cautela e tante incertezze.

Il richiamo di Mattarella
Un’altra e diversa Liberazione. Ma con quale spirito? A cominciare dal Presidente Sergio Mattarella il richiamo a quello del 1945 e alla successiva Ricostruzione è stato forte. L’Italia unita e coesa che si è rimboccata le maniche e ha saputo abbattere un passato di macerie e ostacoli. Gli anni del Piano Marshall e poi quelli che hanno portato alla stagione del Miracolo. Classi dirigenti lungimiranti e gente con la voglia di ricominciare e di crescere. Tutti alleati, in fondo, nel remare sulla stessa barca.

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Opinioni divergenti
Difficile dire, oggi, se lo spirito sia lo stesso. Ad esempio, due «grandi vecchi» del Novecento industriale e culturale italiano la pensano molto diversamente. Fabiano Fabiani, giornalista e manager d'industria, si dice fiducioso a motivo della compatta «disciplina dei concittadini dimostrata durante la quarantena». In questo rivede lo spirito del Dopoguerra e un buon viatico per la ripresa (Corriere della Sera, 24 aprile). Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, sostiene che servirebbe uno scatto come allora ma è pessimista. Negli italiani vede oggi «una stanchezza che viene da lontano a causa di una élite al potere che li ha invitati a non crescere troppo». Il Paese sta cambiando, sì, ma all'insegna della «sovvenzione ad personam» e di una «statalizzazione dell'economia sussidiata» (La Repubblica e il Foglio).

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Patto di stabilità sospeso
Che siano saltati gli schemi e che si debba reagire in modo coerente rispetto alla realtà che si è venuta a creare è un fatto. Lo ha detto subito un protagonista del cambiamento come l'ex presidente della BCE Mario Draghi, un visionario pragmatico che salvò l'euro nel 2012. Del resto, basta pensare che il Patto di stabilità europeo è stato sospeso: lavori in corso sulla strada della ripresa per diluvio recessivo da coronavirus. Inimmaginabile, solo tre mesi fa.

Il bivio per il Paese
Il problema, in Italia, è la rottura degli schemi e lo spirito, politico e culturale, che può affermarsi. Siamo a un bivio. Di qua un Paese forte per le scelte di fondo, a partire dalle alleanze geo-politiche, con la voglia di rialzare la testa (senza scambiare la “rivoluzione liberale” per uno Stato senza regole) e con una catena di comando adeguata. Di là un Paese sfibrato dalla campagna elettorale permanente, attraversato dai fumi dell'anti-industrialismo, proteso alla ricerca del sussidio (e di debiti da non rimborsare) come arma letale anticrisi, con il jolly delle nazionalizzazioni sempre in tasca e suggestionato a guardare a nuove sponde internazionali.

Lo spirito che manca oggi
Il 25 aprile odierno dovrebbe farci ricordare tante cose. Il grande debito che ci stiamo mettendo sulle spalle è tra queste. Il Documento di economia e finanza appena approvato dal Governo Conte2 fa riferimento, per riportarlo sotto controllo, all'orizzonte del «prossimo decennio» e indica per esempio una «revisione organica della spesa pubblica». «Tanto sarà maggiore la credibilità delle riforme strutturali messe in atto – aggiunge- tanto minore sarà il livello dei rendimenti sui titoli di Stato agevolando il processo di rientro dal debito». La «revisione organica» della spesa, nell'aprile 2020, fa quanto meno sorridere. È proprio lo spirito delle riforme (quali, in quali tempi?) e il senso di una ricostruzione vera e condivisa quello che manca. Oggi.

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