Libia, 50 anni fa la confisca dei beni. Ora Italia decisiva per il futuro del Paese
A ben undici anni dall'ultima legge di indennizzo, la n. 7 del 2009 i profughi dalla Libia ancora attendono di ricevere quasi 20 milioni di euro dei 200 stanziati.
di Gerardo Pelosi
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Era l’agosto del '69 e solo da un mese Armstrong aveva messo per la prima volta il piede sulla Luna. In Libia il vecchio re Idris veniva scalzato da un gruppo di giovani militari guidati da un tenente ventisettenne, Muammar Gheddafi il quale come primo atto si autopromuoveva a colonnello. Sarà poi lui il “dittatore rock”, per dirla con Saviano che sull'odio contro l'ex colonizzatore italiano era riuscito a unire un Paese diviso in tre (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). Con lui tutti i politici della prima e seconda Repubblica da Andreotti a D'Alema, da Prodi a Berlusconi per i 40 anni successivi e fino alla capitolazione del 2011 saranno costretti a trattare.
Saranno quelli i cosiddetti “patti col diavolo” conditi con postille segrete e contratti petroliferi, minacce di invasione di immigrati, missili spiaggiati a Lampedusa e salvataggi inaspettati contro i raid americani nella Sirte. Senza contare i collegamenti mai chiariti in tragici fatti della vita nazionale, da Ustica a Bologna. In un'Italia che sta cominciando a godere i frutti del “boom” economico, il 21 luglio del ‘70, esattamente 50 anni fa, Gheddafi emana un decreto di confisca di tutti i beni degli italiani residenti in Libia. Dovranno lasciare il Paese in oltre 20 mila abbandonando affetti, case, attività, aziende agricole. Torneranno in Italia nei campi profughi quasi come “appestati” o collusi con gli epigoni del colonialismo “fascista”. Solo la determinazione di alcuni di loro, negli anni successivi, riuscirà a restituire in parte dignità e indennizzi economici. Questa sera in un incontro di studio il ministro degli Esteri Luigi Di Maio esprime il suo apprezzamento per il ruolo che quegli italiani ebbero nella crescita del Paese che ancora si affida al ruolo politico diplomatico di Roma per trovare la sua difficile strada di un futuro democratico.
Ortu: mancano ancora all’appello 20 milioni di indennizzi
Giovanna Ortu, presidente e fondatrice dell'Airl ,associazione dei residenti italiani in Libia, da anni prosegue la sua battaglia per ottenere dal Governo italiano un risarcimento adeguato per le famiglie e gli eredi di quelle persone costrette a lasciare la Libia 50 anni fa. «Purtroppo – segnala la Ortu - abbiamo sempre un convitato di pietra che è il Ministero dell'Economia. I pochi soldi stanziati nel tempo per i nostri indennizzi, sono stati quasi del tutto vanificati dalla lentezza della nostra burocrazia con le tragiche conseguenze, non solo per i rimpatriati dalla Libia ma per tutti gli italiani». A ben undici anni dall'ultima legge di indennizzo, la n. 7 del 2009 i profughi dalla Libia ancora attendono di ricevere quasi 20 milioni di euro dei 200 stanziati. Il Ministero dell'Economia ha, infatti, arbitrariamente deciso secondo la Ortu di non distribuire quella somma agli aventi diritto, sordo alle loro diffide e istanze. «E pensare – conclude la presidente dell'AIRL - che gli indennizzi fin qui ricevuti basterebbero a malapena a coprire il montante dei beni perduti nel 1970. Il valore delle proprietà rivalutate ammonterebbe oggi a quasi 6 miliardi di euro».
Varvelli: l’Italia ha giocato un ruolo prima dello scontro militare
Una riflessione, a 50 anni dal decreto di confisca dei beni italiani, riguarda anche il futuro della Libia e il ruolo geopolitico dell’Italia. «Se le relazioni tra la Libia di Gheddafi e l'Italia sono sempre state privilegiate – osserva Arturo Varvelli ricercatore Ispi - la politica estera italiana nei confronti di Tripoli dopo la caduta di Gheddafi non può certamente essere descritta come del tutto fallimentare. L'Italia lavorando a supporto della Nazioni Unite e in tandem con gli Stati Uniti è stata in grado di instaurare a Tripoli nell'aprile del 2016 un governo formalmente legittimo, scaturito dall'accordo di Skhirat. Tuttavia, più la situazione è scivolata dal piano politico a quello militare più l'Italia e i paesi europei hanno perso rilevanza a favore di russi, turchi, egiziani e paesi del Golfo».
Ora, secondo Varvelli, «la presidenza tedesca della Ue e il desiderio di non veder vanificati gli sforzi della conferenza di Berlino del gennaio scorso, potrebbero spingere l'Europa a una rinnovata iniziativa. Da parte italiana si tratta di dare un supporto prezioso a un maggior coinvolgimento europeo, tanto più che gli interessi dei tre paesi europei di maggior peso, Germania, Francia e Italia sembrano avere più che nel recente passato possibili punti di convergenza: contenere la presenza turca in Libia e l'aggressività dimostrata nel Mediterraneo orientale, indebolire il supporto militare a Haftar poiché le componenti della Cirenaica intraprendano realmente la strada del negoziato, contenere i flussi migratori e puntare alla riapertura dei pozzi petroliferi con la riattivazione dell'industria energetica libica». Nell’ attuale situazione più il conflitto durerà, più è probabile che si scatenino nuove crisi tangenziali. L'Italia secondo Varvelli «dovrebbe mirare quindi alla costruzione di una vera coalizione europea a supporto dell'azione della Ue. Le recenti esperienze di Francia, Italia e Germania dovrebbero dimostrare che, singolarmente, è improbabile che un solo paese possa contribuire in modo determinante a far progredire qualsiasi strategia».
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