Libia e Niger: il bilancio dell’Italia e l’eredità per il prossimo governo
di Gerardo Pelosi
4' di lettura
È l’incognita elezioni a pesare più di tutto sull’approccio del Governo italiano alla questione del Mediterraneo e del Nord Africa. Un approccio fatto di interventi umanitari, militari ed economici sotto la regia del premier Paolo Gentiloni e che sta producendo frutti positivi proprio in questi ultimi mesi, ma che potrebbe ora essere rivisto o modificato dalla maggioranza e dall’esecutivo che usciranno dalle urne il 4 marzo.
Una preoccupazione palpabile nei corridoi della Farnesina e del ministero della Difesa in via XX settembre. Così come al Viminale, dove il ministro Marco Minniti non si stanca di ripetere: «Noi abbiamo cercato di governare il fenomeno migratorio che ora è sotto controllo: per l’ottavo mese consecutivo i dati dei flussi sono col segno meno».
«Partenze quasi azzerate»
Dati confermati da Tripoli dal nostro ambasciatore, Giuseppe Perrone, dove proprio in questi giorni sono state consegnate altre tre motovedette italiane alla Guardia costiera libica (oltre alle quattro già operative). «Le partenze dalla Libia si sono quasi azzerate a febbraio – afferma Perrone – mentre proseguono i voli umanitari che hanno riportato in Italia circa 300 richiedenti asilo; nello stesso tempo i rimpatri volontari assistiti nei primi mesi hanno raggiunto le 3mila unità e nel corso di tutto il 2017 sono stati 20mila».
Certo, resta sempre il problema dei centri di detenzione in un Paese che non ha firmato la convenzione di Ginevra, ma alcune Ong italiane stanno entrando nei centri per verificare il rispetto dei più elementari principi umanitari. Sarebbero oltre 700mila i migranti identificati in Libia tra gennaio e febbraio dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Ma non ci sono numeri precisi (si parla di altri 300 o 400mila migranti) sparsi in Libia in condizioni anche peggiori dei centri. Per il 63% si tratta di giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana, per il 29% da quella settentrionale e per l’8% da Medio Oriente e Asia.
Il Fondo Africa
L’impegno dell’Italia è stato incidere sul fenomeno nei Paesi dell’Africa da cui originano i flussi. Nasce da questa esigenza il Fondo Africa che si affianca allo sforzo europeo del Fondo della Valletta e una partnership stretta con il Niger. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, e il suo omologo nigerino Kalla Moutari hanno firmato un primo accordo di collaborazione nel novembre 2017, ribadito con una seconda lettera il 15 gennaio per inviare circa 450 militari italiani ad addestrare le forze di sicurezza locali. Nel frattempo in dicembre il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla missione e una ventina di militari sono già stati inviati a Niamey per contatti con le autorità locali e studiare la logistica della missione (che dovrebbe essere ospitata nella base americana già presente). Si ha la sensazione che anche se da parte italiana tutto è pronto per l’invio già nel prossimo giugno di una parte dei militari, sia il Governo del Niger che quello francese stiano aspettando la “chiamata” del governo nigerino ma anche forse l’esito delle elezioni italiane per decidere i tempi.
Una leadership europea
Da parte sua il premier Gentiloni cerca di condividere con Francia e Germania una «leadership europea sui temi migratori e sui rapporti con l’Africa». Una una sorta di “legacy” da affidare alla sensibilità e lungimiranza del nuovo Governo. È soprattutto alla Francia che guarda l’Italia come principale alleato in quella regione. La Francia pur non volendo rinunciare alla leadership nell’area chiede da tempo un maggiore coinvolgimento dei partner europei nella stabilizzazione del Sahel. Ha oltre 4mila soldati nell'area, con basi che sorgono dalla Mauritania al Ciad, Mali, Burkina Faso e Niger.
Ma la politica con Libia e Niger, dice Mario Giro, viceministro degli Affari esteri, «è fatta con le nostre forze, i nostri soldi, il nostro stile, senza urtare suscettibilità locali ma avendo attenzione a due elementi: noi lavoriamo per proteggere gli Stati perché sono i nostri interlocutori e non possiamo permetterci altre Libie; e poi la presenza diplomatica e di sicurezza nel Sahel riguarda il nostro interesse nazionale». Risponde a questa logica il Fondo Africa per lo sviluppo di quei Paesi per 200 milioni, rifinanziato con l’ultima legge di bilancio per 30 milioni. «Troppo pochi – osserva Giro – anche perché si tratta da un lato costruire forze di sicurezza locali sul modello Kurdistan e, dall’altro, aiutare le economie locali a dare un futuro ai giovani. La Francia da tempo aveva voluto coinvolgere l’Italia sul fronte militare nel Mali ma lì si combatte, non si fa formazione e la risposta fu negativa».
I progetti con la Francia
Resta ora da vedere, come suggerisce Arturo Varvelli ricercatore dell’Ispi di Milano, se restano in piedi i progetti per un contingente italo-francese nel Fezzan nel sud della Libia o nel Nord del Mali. Un progetto era allo studio del nostro ministero della Difesa. Anche perché il blocco delle partenze dei migranti creerà nuovi problemi di sicurezza e tenuta del Paese. «I traffici di esseri umani – sostiene Varvelli – alimentavano milizie e comunità locali che ora dovranno trovare altre forme di sostentamento; il governo libico dovrà ridistribuire il reddito di larghe fette di popolazione ma la produzione petrolifera, anche se giunta a un milione di barili al giorno, non sembra sufficiente a garantirlo».
loading...