Israele e Libia: incontro segreto a Roma, caos in entrambi i Paesi
Il faccia a faccia fra la ministra degli Esteri israeliana Cohen e la sua controparte libica Mangoush ha scatenato un caso diplomatico dagli esiti incerti. Soprattutto per il processo di normalizzazione dei rapporti
di Roberto Bongiorni
I punti chiave
4' di lettura
L'incontro non doveva esser rivelato pubblicamente, almeno non ora. E se proprio doveva esser annunciato, sicuramente non in queste forme. Quello di Eli Cohen, il ministro israeliano degli Esteri ad interim, il cui mandato, peraltro, scade tra quattro mesi, pare l'ennesima gaffe, l'ultima. Un pasticcio diplomatico ancora poco chiaro, potenzialmente foriero di conseguenze per ora imprevedibili, ma certamente non positive per i piani israeliani di portare avanti gli accordi di Abramo, il grande e ambizioso piano di normalizzazione dei rapporti tra Israele ed i Paesi arabi.
Il giallo sulla rilevazione del colloquio
È stata sua, pare, l'idea di rivelare il colloquio avuto a Roma lo scorso 23 agosto con la ministra libica degli Esteri, Nabla Mangoush, donna di punta nella squadra del primo ministro libico Hamid Dbeibah. A sua volta, pur tra molte difficoltà, ancora capo del Governo di accordo nazionale (formalmente in stato di guerra con le autorità della Cirenaica) che ha più che buoni rapporti con il suo vicino oltre mare, ovvero l’Italia. La vicenda è davvero confusa. Almeno finora.
Fonti israeliane, riportate dai media locali, sostengono invece che la notizia dell’incontro sia stata diffusa sul canale Whatsapp del ministero israeliano - al quale sono iscritti i giornalisti stranieri in Israele e israeliani - alle 17.59 (ora locale) di domenica scorsa. Altre che sia stato Cohen o il suo entourage. Ma la Libia è un Paese riottoso, focoso, accesamente propalestinese.
Accusata di tradimento Mangoush, attacco a casa premier Dbeibah
Un rapporto diffuso dall'emittente britannica BBC ha reso noto che il capo del parlamento libico ha accusato la ministra Mangoush di tradimento, chiedendo una riunione d’emergenza del Parlamento. L'incontro tra i due ministri «non riflette in alcun modo la politica estera dello Stato libico», ha poi precisato il Consiglio presidenziale della Libia, aggiungendo si è trattato «una violazione della legge libica che considera la normalizzazione con l’entità sionista un reato penale».
Le conseguenze sono state subito gravi e immediate. Najla Mangoush è stata subito sospesa, alcuni sostengono «licenziata», dal suo incarico. L’agenzia turca Anadolu ha comunicato che ieri era in volo a bordo di un aereo privato verso la Turchia. Notizia tuttavia smentita dalle autorità aeroportuali libiche. Non è comunque bastato a placare la rabbia di alcune migliaia di libici. Per le strade della capitale Tripoli e di altri centri della Tripolitania sono scesi in piazza urlando slogan anti israeliani, erigendo barricate e dando fuoco ai cassonetti.
Come se non bastasse, la rabbia è stata tale che un gruppo di facinorosi ha appiccato il fuoco anche a una residenza del primo ministro Dbeibah. Il quale, al pari di tutte le altre parti coinvolte, presumibilmente, non poteva non sapere. Quasi a voler gettare acqua su quelle fiamme che rischiavano di divampare in tutto il Paese, ieri mattina – precisa il sito del quotidiano laburista israeliano Haaretz – il ministero degli Affari esteri della Libia ha enfatizzato di aver rifiutato un invito a partecipare a un meeting con controparti israeliane, aggiungendo che l'incontro poi avvenuto tra le due parte era «non pianificato e del tutto casuale».
Tripoli precisa: niente discussioni o accordi
Il Ministero di Tripoli ha poi precisato che l'incontro non ha contemplato «discussioni, accordi o consultazioni». Tripoli, ha infino chiarito di rigettare con fermezza ogni normalizzazione dei rapporti con Israele. A smentirla ci ha pensato un'altra fonte israeliana, precisando come i ministri degli Esteri di Israele e Libia abbiano conversato per oltre due ore il giorno 23 agosto scorso nel corso di un incontro che era stato approvato “ai più alti livelli”. Anzi il quotidiano The Times of Israel si spinge ancora più in là: il comunicato con la notizia dell’incontro a Roma del 23 agosto tra il ministro degli Esteri israeliano e la ministra degli Esteri libica era «concordato».
«Erano d’accordo sulla pubblicazione - ha detto un'altra fonte citata dal quotidiano - Lo sapevano. L’unica sorpresa è stata il momento della pubblicazione (che doveva comunque avvenire questa settimana, Ndr».Nulla sembra dunque esser avvenuto per caso. Non suona altrettanto casuale il fatto che l'incontro sia avvenuto presso il Ministero degli Esteri del Paese occidentale che ha storicamente le relazioni più forti con Tripoli. L'Italia era stata scelta come mediatore proprio per i suoi profondi legami storici, commerciali e politici con la controparte libica. Anche gli Stati Uniti, peraltro, sarebbero stati informati dell'incontro già da tempo.
Un altro pezzo del puzzle suggerisce come Tripoli abbia cercato di tirarsi fuori goffamente da una difficile situazione sul fronte interno. Sempre secondo fonti israeliane, era da tempo che le discussioni su una normalizzazione dei rapporti tra Libia ed Israele andavano avanti. È ragionevole ipotizzare siano iniziate già in gennaio, durante un incontro tra Dbeibah ed il capo della Cia, William Burns, in visita a Tripoli.
Il rischio di ricadute sugli accordi di Abramo
Anche sul fronte interno israeliano, gli oppositori del governo hanno mossa durissime critiche nei confronti di Choen, accusandolo di dilettantismo. Ora si teme che questo presunto e controverso passo falso possa rallentare il cammino degli accordi di Abramo. Per cui alla fine era stati concepiti: la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, la potenza regionale arabo sunnita del Golfo, e non solo.
Perché uno dei punti di forza della politica estera di Benjamini Netayhau, il premier più longevo della storia di Israele, sono proprio gli accordi di Abramo, il cui primo atto è stata la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, con tanto di dichiarazione congiunta, il 13 agosto 2020. Poi è stata la volta del Bahrein. Marocco e Sudan erano a buon punto. Così, era circolata notizia, anche l'Oman.
Ma la grande ossessione di Bibi Netanyahu, il grande obiettivo che cambierebbe radicalmente la politica estera israeliana sarebbe l'Arabia Saudita. Il potente principe reggente saudita Mohammed Bin Salman non parrebbe contrario. Da tempo circolano altre voci sulla possibile adesione di Riad. Ma la Corona saudita si è spesso presentata al mondo musulmano in generale, ed a quello arabo in particolare, come paladina della causa palestinese.
Difficilmente Riad, dunque, potrebbe intraprendere un passo simile se la popolazione libica, e quelli di altri importanti Paesi arabi, come per esempio, l'Iraq, insorgessero appiccando il fuoco per le strade. D'altronde la legge libica è molto severe in proposito: intrattenere comunicazioni con Israele è un reato penale che prevede la pena fino a nove anni di reclusione.
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