Licio Gelli e la strage di Bologna in un romanzo
Le colpe indissolubili del Gran Maestro nel lavoro di Gianluca Barbera, “Il segreto del Gran Maestro”, in libreria per i tipi di Chiarelettere
di Matteo Bianchi
3' di lettura
Spesso gli italiani hanno dimostrato di non essere pronti alle verità della cronaca, preferendo la faziosa confusione delle opinioni al rigore metodico delle inchieste. Per questo svariati autori di gialli e di noir hanno cominciato a fare il verso a un'applicazione fiacca della legge, talvolta stagnante, anticipandone gli esiti o giungendo a stravolgerli dentro un libro. Gianluca Barbera, invece, ha scelto di tracciare l'inquietante parabola di Licio Gelli, il Venerabile, senza la mediazione di un genere letterario, ma confrontandosi direttamente con il peso del passato. E ne “Il segreto del Gran Maestro” (Chiarelettere) risulta l'approccio più efficace per ridare dignità alle ombre di un paese che con “Mani Pulite” ha salvato solo le apparenze.
La strage di Bologna
Dalla Corte d'assise di Bologna, di recente, sono emerse prove “eclatanti” sul coinvolgimento del signor G. nella strage alla stazione. Nei capitoli ventisette e ventotto Barbera racconta in modo inequivocabile la natura delle responsabilità penali di Gelli nel massacro del 2 agosto 1980, che rappresenta il climax del romanzo nonché la fase terminale di un'estenuante stagione di stragismo. Il cosiddetto “documento Bologna”, evidenziato dalla sentenza di millesettecento pagine e che sarebbe la prova regina della colpevolezza di Gelli, era già noto da anni e compare, micidiale, nel corso della narrazione. Però, il documento non dimostra in modo alcuno un passaggio di denaro da Gelli ai terroristi neri. In esso vengono riportati pagamenti ad altri soggetti, Marco Ceruti (che oggi vive in America), Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi (entrambi deceduti). Si suppone che in un secondo momento il compenso sia stato consegnato a Fioravanti o a Cavallini, e ad altri terroristi neri a Roma, ma non c'è prova tangibile in tal senso. Seppure fumoso, Gelli ha avuto un ruolo chiave, e lo sottolinea la condanna in via definitiva per il depistaggio delle indagini sulla strage, e per la collusione con i vertici dei servizi segreti.
Il Gran Maestro
Barbera ha disseminato la vicenda di rivelazioni e di nuove piste, svelando retroscena e aspetti inediti della biografia di Licio Gelli, dai continui cambi di casacca operati durante il Fascismo al trafugamento dell'oro del Montenegro, sino all'implicazione nel golpe Borghese, nella dittatura argentina e nei più colossali crac finanziari di quegli anni. Per più di un decennio la loggia massonica “Propaganda 2” ha esercitato una pressione innegabile sulle istituzioni, ambendo a diventare totalizzante, una sorta di Stato nello Stato, un machiavellico contropotere finalizzato al sovvertimento dell'ordine democratico e all'instaurazione di un regime autoritario. “C'è persino chi suppone che Gelli si accingesse a mettere in atto un nuovo colpo di stato nel 1981 – sostiene l'autore – e che la strage di Bologna fungesse da apripista. Appare chiaro, tuttavia, come ipotizzato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, costituita a suo tempo e presieduta da Tina Anselmi, che un individuo solo non avrebbe potuto reggere il bandolo di tutta quella ingarbugliata matassa. Sopra Gelli doveva esserci per forza un livello superiore, un livello politico di vertice, addirittura internazionale”. D'altronde, l'insinuazione pilotata da Barbera sfruttando gli strumenti della finzione narrativa, s'inquadrerebbe perfettamente nel contesto storico dell'epoca, tra guerra fredda, questione mediorientale, egemonia petrolifera, Cia, Kgb, superlogge (Ur-Lodge), stragismo, strategia della tensione, omicidi eccellenti, tentazioni golpiste, rapimento Moro, terrorismo nero e rosso, servizi segreti deviati. Non c'è dubbio, dunque, che il temuto Gran Burattinaio fosse a sua volta un burattino nelle mani di poteri di gran lunga più forti. E la violenza, sebbene commissionata e calendarizzata, rimaneva la leva prevista di sopraffazione sociale affinché pochi, pochissimi massoni potessero imporsi sulla moltitudine.
Il verdetto mancato
Barbera lascia volutamente oscuro il rapporto che c'era tra Paolo Bellini e la P2, dato che mentre scriveva il processo era in corso, e ancora adesso non c'è una sentenza definitiva. In appello tutto può accadere: manca la “pistola fumante”, la prova del passaggio di denaro tra l'imputato e la loggia. Per quanto i rapporti tra i servizi segreti e i gruppi estremisti neri e rossi, sia accertato; basti pensare che in via Gradoli, a Roma, dove pare che il Sisde avesse una ventina di appartamenti a disposizione, gravitassero tanto gli uni quanto gli altri, e che in quella via condividessero i medesimi covi. Falsi ideali, più che precetti ideologici, erano utilizzati per convincere e assoggettare soggetti deboli, pronti a trasformarsi in potenziali fanatici. Tesi condivisa anche da Fasanella ne “Il golpe inglese” (2011), la prima inchiesta che ha pubblicato con Chiarelettere.
Lo stile gotico di Barbera, che mantiene le distanze dal vissuto del signor G. registrato dal giornalista Marco Sangiorgi, l'effettivo protagonista, oscilla tra l'asciuttezza impietosa di Sciascia e la cruda allusività di Ellroy, trasmettendo al lettore il suo scetticismo verso l'inconfutabilità. C'è sempre un'altra possibilità per valutare un fatto accaduto.
Gianluca Barbera, “Il segreto del Gran Maestro”, Chiarelettere, 2023, pp. 304, euro 19
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