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Lionrock gioca le carte stadio e Cina per l’Inter FC

«Il calcio, più in generale tutto lo sport, è una passione. Noi vogliamo trasformare quella passione in business; far sì che i tifosi dell’Inter spendano per la loro passione», promette Tom Pitts, uno dei fondatori

di Simone Filippetti

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4' di lettura

In Tribuna d’onore del nuovo e scintillante Tottenham Stadium, una saletta privata con ristorante à la carte, schermi e accesso privato alle poltroncine, sembra di essere a bordo campo: Beppe Marotta, l’ad dell’Inter approdato al club nerazzurro dopo i successi alla Juventus, osserva con aplomb britannico il club sfidare la finalista della Champions League. Due file più sotto, il canadese Tom Pitts e il cinese Daniel Tseung sbuffano quando dopo soli due minuti gli Spurs passano già in vantaggio. Ma poi esultano dopo che Joao Mario segna il rigore che regala la vittoria. I due sono i fondatori di Lionrock, il fondo d’investimento di Hong Kong che è l’altro proprietario del club: Tseung e Pitts hanno il 31% dell’Inter; la maggioranza è della conglomerata cinese Suning. Il colosso della famiglia Zhang, il secondo gruppo privato più ricco della Cina dopo Huawei, è una galassia del largo consumo con un grossa presenza nello sport: qui Suning controlla anche PP Sports, la pay tv che ha in esclusiva i diritti di tutti i campionati europei, tra cui c’è anche la Serie A.

A inizio anno Tseung, che ha fondato Lionrock nel 2011 e Pitts, ex colleghi nell’hedge fund D. E. Shaw, hanno messo una pesante fiche, si vocifera 150 milioni di euro ma mai confermati, proprio sull’Inter. I due finanzieri erano già in affari con Suning: la famiglia cinese ha offerto loro di diventare soci del club al posto di Erick Tohir. Il magnate indonesiano, che aveva ereditato il club dalla famiglia Moratti, proprietaria per oltre 30 anni in due diversi periodi che hanno anche coinciso con il periodo d’oro della squadra (incluso il famoso triplete dei tempi di José Mourinho), voleva vendere la sua quota residua.

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Calcio & finanza vanno sempre più a braccetto: il mondo degli investimenti ha scoperto che il calcio è una macchina da soldi, ma ancora non “ingegnerizzata”. Soprattutto in Italia dove fino a pochi anni fa i club erano in mano ai presidenti-paperoni che finanziavano il calcio per passione; un approccio da mecenati. Oggi invece il calcio è la principale industria di entertainment globale al mondo, con in più la fenomenologia dei “brand”. I club sono sempre più multinazionali: la stessa Internazionale FC, per esempio, è un marchio da 30 milioni di tifosi, di cui la stragrande maggioranza fuori dall’Italia. Il baricentro degli interessi dell’Inter e della Seria A si sta spostando sempre più verso la Cina. Nel 2015 un cinese spendeva in media 150 euro all’anno per lo sport. Il prossimo anno la spesa salirà a 430 euro: un Eldorado da sfruttare.

Lionrock ha in mente un impero sportivo mediatico e commerciale da costruire attorno al prestigioso club nerazzurro: nel mirino ha messo aziende italiane nella fascia tra i 100 e i 200 milioni di fatturato: «Stiamo cercando piccole e medie imprese, marchi interessanti ma piccoli, aziende familiari in salute che non sono presenti in Cina e hanno bisogno di un aiuto per allargare il loro giro d’affari», annuncia Tseung. Interessano aziende di abbigliamento e accessori per lo sport, nutrizione e integratori. «Dalle partite in tv fino al merchandising, il calcio è quello per cui la gente è disposta a pagare», nota Pitts. E Lionrock in Cina ha tra i suoi investitori chiave il gruppo Li Ning, fondato da un ex campione olimpico di Los Angeles 1984, un altro gigante del largo consumo: conta 7000 negozi di sport. Le sinergie sono potenzialmente immense.

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I 58mila spettatori al Tottenham Stadium, un record per una grigia domenica di agosto con gli inglesi in ferie, hanno sancito il successo dell’ICC, il mini-torneo intercontinentale organizzato dalla Relevent, società dell’italo-americano Stephen Ross, l’immobiliarista del mega complesso da 25 miliardi Hudson Yards a New York, e patron dei Miami Dolphins. Le tourneé, altro marketing che mette in moto tutto un indotto, portano milioni di euro nelle casse dei club. «Il calcio, più in generale tutto lo sport, è una passione. Noi vogliamo trasformare quella passione in business; far sì che i tifosi dell’Inter spendano per la loro passione», promette Pitts. Il padrone rimane sempre Suning, che ha in mano il 68%: «Prima di accettare la proposta di Zhang, abbiamo discusso molto - ricorda Tseung - . Entrare come soci di minoranza presentava criticità, ma la governance funziona benissimo». A Tseung e Pitts, Zhang ha riservato due posti in consiglio.

La nuova Inter ha una caratura da multinazionale: il cda è tutto straniero, gli unici italiani sono Marotta e il co-ad Alessandro Antonello. C’è anche il direttore finanziario, figura da società quotata, ma il fondo nega qualsiasi interesse a uno sbarco in Borsa: si chiama Tim Williams e viene dal Manchester United per dare al club una struttura da vera azienda industriale.

Nel calcio di oggi c’è una diretta correlazione tra ricavi e successi: i club più vincenti sono anche quelli con maggiore fatturato. Per stare tra le “grandi” l’Inter ha bisogno di aumentare il fatturato. Ma per farlo ci vuole un nuovo stadio: il rifacimento del Meazza è un Godot atteso da almeno 20 anni. «San Siro è famoso in tutto il mondo, un monumento del calcio, ma oggi non è adeguato: troppo vecchio e fatiscente». Tseung e Pitts non si sbilanciano, si limitano a dirsi «fiduciosi» su un accordo con il Comune di Milano, ma difficilmente si sarebbero impegnati sei mesi fa senza precise garanzie sul progetto.

L’astronave che svetta tra le case di White Hart Lane, sobborgo londinese della working class, è costata circa un miliardo di sterline. Per avvicinare lo stadio Meazza ci vorrà un grosso impegno finanziario.

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