Liste d’attesa, la cura Bertolaso «Cup unico entro la fine anno»
In regione su 6 milioni di prestazioni 1,5 avvengono senza il rispetto dei tempi d’urgenza. Dalla regione 61 milioni per incrementare la produttività: allocati 25 milioni al pubblico, 18 al privato
di Sara Monaci
4' di lettura
Se è impossibile trovare una pubblicazione ufficiale dei tempi di attesa medi nella sanità lombarda, alcuni numeri aiutano a capire la situazione allarmante. Sul territorio regionale c’è una richiesta di 6 milioni di prestazioni all’anno, ma di queste 1,5 milioni avvengono senza il rispetto di quei limiti di legge che prevederebbero 10 giorni per le visite urgenti (in fascia “B”), 30 giorni per le prime visite e 60 per quelle senza emergenza (in fascia “D”). La situazione si è andata aggravando con il Covid, perché l’arretrato si è sommato pesantemente ad una situazione costante di difficoltà.
Qualche esempio di vita pratica: per una mammografia di routine si può aspettare fino ad un anno e mezzo-due; per un intervento ortopedico (come la sostituzione di una protesi all’anca) oltre un anno; per una angiografia ritenuta urgente 5 o 6 mesi. Sono dati che non hanno la pretesa della scientificità assoluta, ma si tratta di segnalazioni significative da parte di cittadini.
Il problema principale è senza dubbio la carenza di medici. Poi però si aggiungono altri nodi organizzativi su cui sarebbe necessario intervenire in maniera drastica: una nuova programmazione per definire le priorità; l’aumento della produzione e dell’utilizzo dei macchinari (che in Lombardia significa necessariamente aprire un tavolo con i privati); l’unificazione dell’agenda di tutte le strutture pubbliche e private convenzionate.
La carenza di medici
Partiamo dalla madre di tutti i problemi: la carenza di medici. Per quanto riguarda i medici di medicina generale e i pediatri, in tutta Italia ne mancheranno circa 25mila nei prossimi 6 anni se consideriamo i prepensionamenti, il che in Lombardia si traduce in oltre 6mila professionisti in meno entro il 2028.
Sulla base di una ricerca di Anao Assomed, entro il 2025 è prevista una stima di un ammanco di 1921 medici. Le carenze principali riguarderanno la pediatria con 510 unità in meno; anestesia e rianimazione con 315 unità; chirurgia generale con 159 unità; psichiatria con 165 unità; medicina dell’emergenza con 177 unità; medicina preventiva con 127 unità e medicina interna con 377 medici in meno.
Il fabbisogno dichiarato di 1660 specialisti all’anno appare più alto rispetto al fabbisogno reale per tutte le specialità: questo scostamento potrebbe essere giustificato, spiega la ricerca, dalla massiccia presenza del privato in questa regione, che richiede un alto numero di specialisti.
Secondo altre stime più drastiche, realizzate dal centro studi Sumai-Assoprof, che prende in esame il periodo temporale 2021-2030, in Lombardia si potrebbe arrivare già nel 2025 ad una carenza stabile di 3.039 medici specialisti, qualora rimanesse costante il perimetro dei pensionamenti e quello delle assunzioni. La ricerca ricorda che sono 14.596 i medici nelle strutture del Sistema sanitario nazionale, mentre altri 8.090 sono specialisti che esercitano la professione privatamente. Va detto che il ministero della Sanità a livello nazionale ha appena deciso di aumentare gli accessi a Medicina, con l’ingresso a livello nazionale di 30mila nuovi medici entro il 2030.
Il tentativo di produrre di più
L’assessorato al Welfare guidato da Guido Bertolaso ha la peggiore grana della storia politica lombarda: provare a riallineare la domanda e l’offerta, sapendo che oltre certi limiti non sarà mai possibile, ma provando almeno a ridare un equilibrio. A marzo sono state approvate due delibere di giunta che hanno messo a disposizione 61 milioni per incrementare mensilmente del 10% la produttività rispetto alle liste d’attesa (di cui per ora allocati 43 milioni, 25 al pubblico e 18 al privato). Bertolaso rivendica i primi risultati, che ha esibito in commissione Sanità: per quanto riguarda le visite in fascia B, gli erogatori pubblici hanno migliorato del 56% le prestazioni, mentre i privati del 19%; per quanto riguarda la fascia D, gli erogatori pubblici sono migliorati del 24% contro il 29% del privato.
Nel 2023 il 72% delle prime visite rispetta la soglia temporale nella fascia B, il 78% in fascia D. Risultati simili anche nel privato: il 75% in fascia B - ma in questo caso in peggioramento rispetto al 79% dello scorso anno -, l’82% in fascia D. Da questa analisi vengono però escluse le visite dermatologiche e oculistiche, per le quali non vengono forniti dati ma per cui la situazione è fortemente preoccupante per i ritardi accumulati.
Il mito dell’agenda unica
Altro punto fondamentale sarà la realizzazione di un Cup unico, di cui si parla da anni. Un’agenda unica che permetta di vedere le disponibilità di tutte le strutture e distribuire in modo omogeneo i pazienti. Bertolaso ha annunciato a luglio l’apertura di un bando attraverso la centrale Aria. Ma non tutti dentro la sua stessa maggioranza di governo ne sono convinti. «Se ne parla da anni, non ci riusciremo perché gli stessi ospedali non forniscono i dati», dicono fonti leghiste. «Non è la soluzione a tutto, occorrerebbe che il pubblico tornasse a programmare. Però il Cup unico va fatto - dice invece Samuele Astuti del Pd - e bisogna avere la forza di imporsi minacciando la sospensione dei finanziamenti pubblici».
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