Litio, cobalto, idrogeno: il difficile cocktail della transizione energetica
Qual è la strada migliore per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione? Possibili risposte a questo interrogativo arriveranno dal congresso E2DT di Palermo che parte il 22 ottobre
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Qual è la strada migliore per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione e della transizione energetica? Basteranno le materie prime critiche disponibili a sostenere una mobilità completamente elettrica? Il loro sfruttamento avrà un impatto completamente conveniente dal punto di vista ambientale? E sarà economicamente sostenibile da parte dell’industria? Sono gli interrogativi che serpeggiano da tempo tra decisori politici a livello mondiale e tra i grandi gruppi dell’automotive, ad esempio.
A queste domande e ad altre strettamente connesse – per esempio se si stia puntando sulle tecnologie giuste e che ruolo avrà la digitalizzazione sempre più pervasiva – tenteranno di rispondere gli esperti e gli operatori di vari settori riuniti dal 22 al 25 ottobre a Palermo per la seconda edizione del congresso E2DT, l’Energy, Environment and Digital Transition, organizzato dall’Associazione Italiana di Ingegneria Chimica (Aidic), con il supporto della Federazione Europea di Ingegneria Chimica (Efce).
Quando si parla di transizione energetica e ambientale, si intende generalmente il passaggio della produzione di energia da combustibili fossili a risorse rinnovabili: un percorso non semplice e non indolore - anche dal punto di vista dei costi – come più volte sottolineato da analisti e imprese, che deve giocoforza avvenire nel quadro di scelte politiche, come avvenuto con la Commissione Europea sui motori a combustione interna, destinate ad alimentare un ampio dibattito che comprende le tesi opposte di chi auspica l’addio dei combustibili fossili totale e rapido, a chi sostiene invece un percorso più graduale fino chi ritiene che, tutto sommato, il livello di innovazione tecnologica raggiunto consente un buon compromesso tra tutela ambientale, costi industriali e disponibilità di materie prime.
«Per questo è importante che informazioni tecnico-scientifiche corrette ed imparziali siano rese disponibili ai decisori e regolatori, in modo che tali modifiche legislative non siano il frutto di visioni di parte – afferma Giuseppe Ricci, presidente di Aidic - . La Digitalizzazione è pure un elemento importante in questo quadro di transizione, in quanto fornisce la possibilità di un’accelerazione rilevante di tutti i processi di trasformazione. I sistemi energetici e di produzione saranno sempre più connessi, intelligenti ed efficienti, e dotati di possibilità di autoapprendimento, con notevoli implicazioni sul mondo del lavoro e di conseguenza sulla società».
Litio e compagnia
La questione è mondiale. Basta qualche esempio per chiarirlo. Pochi giorni fa il Ghana ha siglato un accordo con la multinazionale australiana Atlantic Lithium Ltd per lo sfruttamento di un grande giacimento di litio, una delle materie prime sotto maggiore osservazione. Cambiando continente, il Cile sta ipotizzando di nazionalizzare proprio i giacimenti di litio. Passando all’Asia, la Cina, che già ha un ruolo da pivot nella disponibilità, nello sfruttamento e nella lavorazione di molte delle materie prime critiche, ha di recente raggiunto un accordo per sfruttare i giacimenti di litio in Afghanistan. In mezza Europa, dalla Francia all’Italia alla Scandinavia, si stanno cercando potenziali siti sfruttabili. Contemporaneamente il Regno Unito ha comunicato il rinvio dello stop ai motori termici dal 2030 al 2035.
Una parte non secondaria dei timori del Vecchio Continente sono giustificati dal fatto che questo è prevalentemente un utilizzatore finale dei materiali indispensabili a sostenere la transizione energetica e dipende in massima parte proprio dalla Cina e in parte anche dagli Stati Uniti. Inoltre molti degli elementi fondamentali per realizzare le batterie elettriche si trovano in paesi privi di stabilità politica. L’aspetto geopolitico è quindi tutto meno che secondario nell’ambito della transizione energetica.
Aidic ha realizzato diversi position paper sui metalli critici e in una nota ha sintetizzato quelli che possono essere considerati i principali problemi di cui tenere conto. Le batterie, ad esempio, non riguardano solo la mobilità elettrica, ma anche un’infinità di dispositivi e oggetti di impiego quotidiano oltre a incidere anche sull’efficienza delle fonti rinnovabili con i sistemi di accumulo.
Per molti ma non per tutti
Ricci fa riferimento a un noto studio della Iea (l’Agenzia internazionale per l’energia) incentrato proprio sulle batterie dal quale si evince che mediamente una batteria di un veicolo elettrico pesa 206 kg e contiene molti metalli diversi: in ordine di importanza grafite, rame, nickel, manganese e, in misura minore cobalto, litio e cromo. Rapportando il peso dei singoli materiali impiegati in una batteria con il numero di veicoli circolanti in Europa e nel mondo e confrontando il risultato con le disponibilità delle materie prime, emerge che la criticità riguarda il cobalto e il nickel. Soprattutto il primo non basterebbe nell’ipotesi estrema di un parco circolante mondiale completamente elettrico.
Ma, come detto, le batterie e le materie prime “a rischio” riguardano anche altri settori, non solo i veicoli. E questo complica di molto lo scenario, perché la capacità di stoccaggio di energia necessaria per raggiungere la situazione NetZero 2050 immaginata dalla Iea sarebbe notevolmente maggiore rispetto a quella attuale e richiederebbe una quantità di materie critiche difficilmente gestibile.
La via dell’idrogeno
Un’altra via che le grandi case automobilistiche stanno cercando di percorrere è quella dell’idrogeno. La suggestione in questo caso è dovuta a due fattori: «La sua combustione, per generare energia, produce come sottoprodotto solo vapore d’acqua e la sua densità energetica per massa, cioè l’energia ottenibile per peso di idrogeno è molto alta» ricorda il presidente Aidic.
Tutto bene? Non proprio: «L’idrogeno è un gas molto rarefatto e per ottenere delle quantità in peso significative, dobbiamo comprimerlo ad alta pressione» dice Ricci. Per capirci, la Toyota Mirai, per assicurare una autonomia di 650 Km, è stata dotata di tre serbatoi di idrogeno pressurizzati a 700 atm per un volume totale di 146 litri.
Lo studio di Aidic spiega che a causa della bassa densità i costi di compressione dell’idrogeno sono molto elevati. E che a parità di contenuto energetico finale la quantità di energia necessaria per comprimere l’idrogeno è 5-10 volte maggiore rispetto a quella richiesta per la compressione del metano, alle pressioni indicate. Inoltre non mancano problemi relativi alla sicurezza.
Cocktail prudente
Il paper dell’Aidc finisce per consigliare un approccio “prudente” alla transizione energetica. «La messa al bando dei motori endotermici in Europa a partire dal 2035 potrebbe non risolvere il problema del cambiamento climatico ed esporre l’Europa e parte del resto del mondo a tensioni dovute all’approvvigionamento e alla gestione dei minerali critici» rileva Giuseppe Ricci. Sarebbe, insomma «prudente considerare attentamente per i trasporti, l’utilizzo di vettori energetici alternativi a elettricità e idrogeno, derivati da rifiuti, da biomasse ottenute senza competere con le produzioni alimentari e senza deforestazione o dall’idrogenazione della CO2 (e-fuels). Gli investimenti in Europa per supportare una transizione energetica più prudente e sostenibile dovrebbero puntare al recupero delle tecnologie per la produzione di microchips e pannelli fotovoltaici, a tecnologie più efficienti per l’elettrolisi dell’acqua e dell’acqua di mare, allo sviluppo di motori endotermici e relativi carburanti a zero emissioni di gas serra».
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