Interventi

Lo scenario economico post-Covid. Quale exit strategy?

di Angelo Baglioni

(AFP)

4' di lettura

La crisi generata dal coronavirus ha indotto i policymaker di tutto il mondo ad adottare politiche fiscali e monetarie eccezionali. Il nostro paese e l’Europa non fanno eccezione: il governo italiano ha adottato una politica fiscale fortemente espansiva, anche facendo leva sulle ingenti risorse messe a sua disposizione dall’Europa. La Banca centrale europea ha ripreso i piani di acquisto di attività finanziarie su larga scala: il famoso Quantitative Easing (QE).

 La prospettiva di un superamento dell’emergenza sanitaria, pur con le dovute cautele relative alle diverse “ondate” della pandemia, pone un quesito importante: quale sarà la strategia di uscita dalle politiche straordinarie messe in campo negli ultimi due anni? Il numero 3/2021 di Osservatorio Monetario  cerca di rispondere a questa domanda, partendo dallo scenario macroeconomico con cui i policymaker si confronteranno nei prossimi anni. Nei trimestri centrali del 2021, la progressiva rimozione delle misure di distanziamento ha favorito una robusta ripresa dell’economia europea, che è stata assecondata dall’adozione delle politiche espansive. In diversi settori, i ritmi di crescita della domanda hanno superato quelli dell’offerta, generando tensioni sui prezzi. Tuttavia, l’ipotesi tuttora prevalente è che tali tensioni siano destinate ad essere superate nel prossimo anno. L’economia italiana ha condiviso i tratti della congiuntura “a V” europea, descrivendo una contrazione più marcata nella fase dei lockdown e un rimbalzo maggiore al momento delle riaperture. La ripresa del 2021 è alla base delle stime di una crescita vivace che si trascinerà nel 2022. Lo scenario governativo è caratterizzato da una crescita robusta anche nel 2023 e nel 2024.

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Questa previsione è basata sulla capacità del nostro paese di realizzare gli investimenti e le riforme previsti dal PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza): solo a questa condizione, non banale, la maggiore crescita diventerà strutturale. Nel lungo periodo, la sostenibilità del debito pubblico italiano dipenderà in misura cruciale dal fatto che il sentiero di crescita del PIL si porti strutturalmente al di sopra di quello storicamente osservato nel nostro paese. Pur di perseguire una trasformazione dell’attuale rimbalzo economico in un processo duraturo di più elevata crescita economica, il governo italiano intende prolungare l’attuale politica fiscale espansiva, prevedendo una spesa pubblica addizionale per poco più di un punto di PIL nei prossimi tre anni. Tuttavia, è opportuno non nascondersi i rischi della politica espansiva perseguita dal governo, soprattutto per quello che riguarda la sostenibilità del debito. Questa dipende sostanzialmente da due fattori: il tasso di crescita futuro dell’economia e l’andamento del costo del debito. La scommessa del governo è che il primo aumenti in modo sostanziale nei prossimi anni e che il secondo resti molto basso.

Sul secondo fronte, quello del costo del debito, un contributo importante alla sostenibilità del debito pubblico viene dalla politica monetaria. Ricordiamoci che questo contributo passa non solo dall’effetto di calmierare i tassi di mercato, ma anche per il meccanismo delle retrocessioni: gli interessi pagati dal Tesoro sui titoli detenuti dall’Eurosistema gli vengono in massima parte restituiti, di fatto azzerando il servizio del debito sulla quota di questo detenuta dalla banca centrale. Questa quota supererà il 30% nel marzo prossimo, data prevista per la fine del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme). In valori assoluti, possiamo stimare che l’Eurosistema arriverà a detenere titoli del debito pubblico italiano per un importo pari a 760 miliardi di euro alla fine di marzo 2022, per effetto degli acquisti accumulati nell’ambito dei due programmi PEPP  e PSPP (Public Sector Purchase Programme). Tenendo conto della scadenza media dei titoli detenuti, il Tesoro risparmierà gli interessi su circa un terzo del suo debito per un periodo di sette anni.

Se la Bce decidesse di aumentare i tassi di interesse nel corso del 2022, prima di quanto desumibile dalla sua attuale forward guidance, ciò avrebbe un impatto rilevante sul costo del debito, costringendo il governo italiano a rivedere le sue previsioni. Lo scenario governativo di finanza pubblica sconta infatti la permanenza dei tassi di interesse di mercato sugli attuali livelli molto bassi. Tuttavia, non vi è alcuna relazione meccanica tra aumento dei tassi d’interesse e fine degli acquisti di attività finanziarie, o addirittura vendita, da parte della banca centrale. Le politiche monetarie non convenzionali, attuate negli ultimi anni, hanno cambiato l’assetto operativo della Bce, consentendo una gestione separata dei tassi di interesse e della liquidità. Ciò implica che la fine del programma PEPP, prevista per il prossimo marzo, non comporti necessariamente un aumento dei tassi di interesse. Non solo, ma un eventuale aumento dei tassi potrà avvenire in presenza di un rinnovo dello stock di titoli nel portafoglio della Bce anche per un prolungato periodo di tempo. I timori che l’uscita dal QE costringa la Bce a vendere titoli di Stato sul mercato sono quindi eccessivi.

Mercoledì 24 novembre, alle ore 14.30, nella Cripta Aula Magna dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (largo Gemelli, 1 – Milano), sarà presentato il numero 3/2021 di Osservatorio Monetario intitolato “Lo scenario economico post-Covid quale exit strategy?”. Dopo i saluti di Nazzareno Gregori, presidente Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (ASSBB), intervengono Massimo Bordignon, Università Cattolica del Sacro Cuore e European Fiscal Board, Fedele De Novellis, Ref. Ricerche, Marco Lossani, Università Cattolica del Sacro Cuore, e Andrea Monticini, Università Cattolica del Sacro Cuore. Introduce e coordina Angelo Baglioni, direttore Osservatorio Monetario.

Angelo Baglioni è Direttore di Osservatorio Monetario, Università Cattolica del Sacro Cuore.

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