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Lo spazio dei paesi Brics e il vuoto alle Nazioni unite

Viviamo in un’epoca di moltiplicazione dei forum e delle organizzazioni internazionali

di Adriana Castagnoli

4' di lettura

Viviamo in un’epoca di moltiplicazione dei forum e delle organizzazioni internazionali. Il G20 è stato creato alla fine del secolo scorso perché il G7, formatosi negli anni ’70, appariva ormai inadeguato a rappresentare i nuovi equilibri mondiali. Ma entrambi sono nati per aggirare gli effetti del mal funzionamento del sistema delle Nazioni Unite (1945), ingessato dal potere di veto dei componenti permanenti del Consiglio di sicurezza. In attesa di una sua “impervia” riforma, sembra più facile creare nuovi forum che far funzionare quelli esistenti. Fra le iniziative cinesi spicca la Shanghai Cooperation Organisation, mentre i cinque Brics hanno formalizzato e allargato il gruppo.

A loro volta, gli Stati Uniti hanno promosso molteplici partnership: dal “dialogo” di sicurezza Quad con Australia, India e Giappone; al patto di difesa Aukus con Australia e Regno Unito; sino al lancio della Partnership for Atlantic Co-operation, creata proprio a margine della recente Assemblea dell’Onu, insieme a una dozzina di Stati che si affacciano sull’Atlantico in Africa, Europa e Americhe.

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Il leader Narendra Modi ha sperato che il vertice G20 di Nuova Delhi segnasse l’ascesa dell’India, promuovendone il modello di sviluppo e dando voce alle economie emergenti. L’India, che si definisce leader del Global South, ha spinto con successo il G20 ad ammettere l’Unione africana come membro a pieno titolo del gruppo. Ma la vistosa assenza del presidente cinese Xi Jinping al Summit ha messo in evidenza la contraddizione di fondo del concetto di Global South e dell’appartenenza della Cina, riconosciuta potenza economica, alla “grande famiglia dei Paesi in via di sviluppo”, per dirla con le parole di Xi Jinping, il che ha inviato un preciso segnale tanto a Narendra Modi che a Joe Biden.

Al vertice G20, Biden e Modi hanno propagandato una “stretta e duratura partnership” poiché entrambi i Paesi nutrono sospetti sul potere e sull’influenza cinese. Nella capitale indiana, essi si sono mossi per cementare i legami nella difesa e nella tecnologia, sottolineando la fiorente cooperazione strategica tra i due Paesi. La richiesta di Modi di un mandato ampliato per le banche multilaterali ha fatto eco alle richieste avanzate dagli Stati Uniti e dall’Ue per le riforme della Banca Mondiale, considerate cruciali per aiutare le nazioni più povere anche al fine di adottare tecnologie verdi. Ma è probabile che gli Usa resisteranno alla riforma delle quote di voto, che finirebbe per concedere più influenza alla Cina.

In ogni caso, gli Stati Uniti avranno bisogno dell’approvazione del Congresso per la propria tranche di finanziamenti extra alla Banca Mondiale. E ciò potrebbe essere difficile da ottenere con i repubblicani che controllano il Congresso e con la spada di Damocle dello shutdown. Eppure, l’Occidente non può che spingere per una seria riforma del Fmi per aiutare a ricostruire i legami con il Sud del mondo.

Così, la questione di fondo resta pur sempre la stessa: cosa ha da offrire l’Occidente al Global South?

Si consideri l’Africa. La recente ondata di colpi di Stato che ha colpito l’Africa occidentale (ultimo, il Niger) rappresenta il fallimento dell’Europa nel collegare sviluppo economico e sicurezza. L ‘ Alleanza del Sahel, promossa congiuntamente da Francia e Germania, è diventata una piattaforma per coordinare gli aiuti al Sahel, federando l’azione di 27 partner bilaterali e multilaterali. In questa regione, due abitanti su tre vivono di agricoltura e allevamento di bestiame. Tuttavia, i raccolti sono scarsi e oltre un terzo viene perso ogni anno, così l’insicurezza alimentare è elevata e i cambiamenti climatici la peggiorano costantemente. Secondo l’Ocse, il divario tra la spesa necessaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030 e i finanziamenti disponibili dagli aiuti e dai mercati finanziari è di quasi 300 miliardi di dollari all’anno per l’Africa nel suo complesso. Per colmare il divario con i 2 trilioni di dollari in prestiti bancari, credito commerciale e obbligazioni di debito ai Paesi in via di sviluppo emessi per un decennio da Pechino - per quanto adesso la Cina stia rallentando - occorreranno iniziative davvero cospicue.

Il programma Gateway, varato dall’Ue come risposta alla cinese Belt and Road, è un cambio di rotta per Bruxelles. Esso mira a investire 150 miliardi di euro in Africa e prevede un’area di corridoi infrastrutturali strategici. Si tratta di molto più di quanto l’Ue abbia fatto in precedenza e, se fosse - ma non è - concentrato nel Sahel, contribuirebbe notevolmente a soddisfare le esigenze della regione. Ma, a questo punto, potrebbe essere troppo poco e troppo tardi.

A margine del G20 di Nuova Delhi, gli Stati Uniti e l’Ue hanno sostenuto lo sviluppo di un nuovo corridoio navale e ferroviario che colleghi l’India al Medio Oriente e al Mar Mediterraneo, la “Via del Cotone”, una sfida al peso economico della Cina nella regione. L’intento di Biden, inoltre, è di costruire sulla recente normalizzazione delle relazioni tra Israele e diversi Stati arabi, compresi gli Emirati Arabi Uniti. Sia l’Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di petrolio, sia gli Emirati Arabi Uniti, il principale centro finanziario del Medio Oriente, stanno cercando di proiettarsi come hub logistici e commerciali strategici tra est e ovest. Così, Riyad ha ristabilito i rapporti diplomatici con Teheran, grazie alla Cina; ed entrambi hanno aumentato gli scambi commerciali con l’Iran, su cui però continuano a gravare le pesanti sanzioni di Washington.

In questo complesso scenario di potenze, in carica o in ascesa, il grande incubo è che l” asse delle autocrazie”, di cui ha offerto un assaggio l’incontro fra Kim Jong-Un, leader della Corea del Nord, e il presidente russo Vladimir Putin a Vladivostok, si rinsaldi. Il G20 ha molti difetti, ma per ora il mondo ne ha bisogno.

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