Lo spettro della Catalogna sulla Corsica al voto
di Riccardo Sorrentino
4' di lettura
«Questa non è la Catalogna». In Corsica tanti ripetono la stessa frase, in questa campagna elettorale per il voto “territoriale”. Non perché nell’isola si sia rinunciato all’idea dell’indipendenza, che resta anzi il sogno proibito della terra che nel 1755 dopo una lunga lotta contro Genova riuscì a proclamare la repubblica per essere invasa e poi definitivamente conquistata dalla Francia nel maggio 1769, tre mesi prima della nascita, ad Ajaccio, di Napoleone Bonaparte.
Dal 1° gennaio un’assemblea unica
La Corsica non è la Catalogna soltanto perché qui la maggioranza nazionalista - formata da autonomisti e indipendentisti - sembra aver adottato una strategia gradualista: un passo dopo l’altro, a cominciare da quelli che non dividono il fronte. Il voto del 3 e del 10 dicembre - anticipato proprio per tener conto delle novità istituzionali - porterà così all’elezione di una Collettività unica, al posto della precedente Collettività territoriale e dei due dipartimenti (Haute-Corse e Corse-du-Sud). L’Assemblea della Corsica che sarà eletta avrà quindi, dal 1° gennaio 2018, poteri molto più ampi rispetto al passato (e un numero maggiore di deputati); e così accadrà al Consiglio esecutivo da lei eletto.
Nazionalisti in vantaggio
La campagna appare tranquilla, persino «deprimente», come ha ammesso un candidato intervistato dal quotidiano Le Monde. Il gruppo dei nazionalisti, gli autonomisti di Femu a Corsica (Facciamo la Corsica) e gli indipendentisti di Corsica libera, ha conquistato nel 2015 la maggioranza relativa dei voti (con il 36% al secondo turno) e dei seggi (24 su 51). Al loro fianco, nella battaglia corsa, ma in posizione critica, si colloca anche Rinnovu, di estrema sinistra, che tre anni fa raccolse il 2,58% dei voti al primo turno e che ora si ripresenta con il nome Core in fronte.
La tentazione del fronte repubblicano
Le opposizioni - i partiti “francesi” - non sembrano in grado di contendere il loro primato. L’unico rischio, per i nazionalisti corsi, è allora quello di un’alleanza inedita, una sorta di fronte repubblicano, tra destra e sinistra di cui si comincia già a parlare, che sembrano poter contare tra 30 e 50mila dei 140mila voti circa sull’isola. Secondo gli avversari si tratta però di pulitichella, un’intesa senza fondamenta solide. Non è ancora chiaro poi quale ruolo potrà avere il movimento di Emmanuel Macron, En Marche!, che nell’isola assume il nome di Andà per dumane (Avanti verso il domani): alle presidenziali rinnovatore della politica francese ha in realtà raccolto solo il 18,5% dei voti al primo turno (e il 51,5% al secondo).
Gli autonomisti di Simeoni...
Autonomisti e indipendentisti sono invece riusciti a trovare un accordo più solido mettendo da parte le naturali frizioni interne. I nazionalisti si aggregano dietro due personaggi. Uno è Gilles Simeoni, 50 anni, avvocato, figlio dell’autonomista storico Edmund. Gilles per primo ha conquistato un seggio di sindaco, a Bastia - con la lista Inseme per Bastia, che poi è diventato Femu a Corsica - e nel 2015 è diventato presidente del Consiglio esecutivo. È il più moderato, considerato persino pusillanime dai più radicali. È lui che rifiuta ogni parallelismo con la Catalogna (non c’è, dice, «non sul piano demografico, né sul piano economico, né sul piano politico») ma, nello stesso tempo chiede poteri legislativi e autonomia fiscale.
...e gli indipendentisti di Talamoni
Il secondo animatore del nazionalismo, un vero indipendentista, è l’attuale presidente dell’assemblea corsa, Jean-Guy Talamoni, 57 anni, avvocato e compositore di canzoni - in corso e in inglese, non in francese - con alle spalle un processo per terrorismo (e altri gravi capi d’accusa) terminato con un’assoluzione. Non è il «Puidgemont corso», come pure qualcuno lo descrive: mai ha espresso una parola di condanna per gli attentati dell’isola, e l’anno scorso ha parlato della Francia - dove è nato, in realtà - come di un «Paese amico». Il suo vero animo è emerso di fronte alla repressione in Catalogna: «I catalani sono molto pacifici, sono rimasti con le mani alzate, sono sicuro che non sarebbe accaduto, qui».
Nessuna maggioranza per l’indipendenza
I rapporti tra Simeoni e l’attivissimo Talamoni sono stati improntati al rispetto reciproco, che ha portato in queste elezioni a riproporre la lista unica Pè a Corsica, che ha permesso loro di guadagnare la maggioranza nel 2015, sfuggita nel 2010 quando si erano presentati separati. Sono portatori di un programma minimo comune, mentre sulle questioni più scottanti, che dividono i due gruppi, la loro intesa è di metodo: «I corsi decideranno più avanti», dicono. «Non ci sarebbe neanche una maggioranza per votare l’indipendenza», ha del resto ammesso Talamoni, che pure spera di vedere una Corsica sovrana prima della morte. Occorrono dieci anni, ha detto, per rendere i corsi più ricchi e più indipendenti economicamente, prima di poter fare il passo decisivo. Il sogno è rinviato.
Un debito pesante
Anche se più prosaica, la posta oggi in gioco è comunque rilevante: la Collettività unica ha un bilancio di 1,380 miliardi di euro, somma dei budget delle tre collettività. Si sono sommati però anche i debiti delle vecchie istituzioni, e l’esposizione totale è oggi pari a 788 milioni e questo masso - piaccia o no - pesa sui sogni nazionalisti dell’isola.
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