ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùA tavola con Vittoria Gozzi

«Lo sport è business e spettacolo, ma in Italia è in mano a circuiti chiusi»

Vittoria Gozzi. Nata in una famiglia di imprenditori, studi alla Bocconi e all’estero, presiede Wylab, incubatore per investimenti sportivi a Chiavari, punto nodale di una nuova geografia

di Paolo Bricco

Vittoria Gozzi è Presidente di Wylab, Sportech Incubator and Digital Coworking, dal 2016 dopo aver ricoperto il ruolo di General Manager. Si è laureata in Economia alla Bocconi, e ha svolto un periodo di perfezionamento alla Singapore Management University (Illustrazione di Ivan Canu)

6' di lettura

«Lo sport è un grande affare e un grande spettacolo. Negli Stati Uniti la Nba e la Nfl sono gestite con eccellente spirito imprenditoriale e con accurata oculatezza. Sono profittevoli e sane. Ciascuna ha il suo modello di business. Il basket è incentrato sui personaggi. Il football sulle squadre. Le leghe e le società hanno pianificazioni, marketing e finanza. Sviluppano un pensiero strategico di lungo periodo. Lo sport in Italia è appannaggio di circuiti chiusi. Il calcio è segnato da meccanismi di protezione e di endogamia: i dirigenti sono selezionati fra gli ex calciatori. Che, di solito, hanno avuto percorsi scolastici meno strutturati e esperienze manageriali meno qualificate rispetto allo standard dello sport business internazionale. Per questo ogni nuova impresa italiana nelle tecnologie applicate allo sport ha un mercato nazionale di riferimento piccolo e poco recettivo. Al contrario di quanto accaduto al fintech italiano, che è cresciuto bene grazie al sottostante delle grandi banche commerciali. Ecco perché ogni start up deve operare su un mercato globale».

Vittoria Gozzi è presidente di Wylab, l’incubatore specializzato nello sport tech di Chiavari, in provincia di Genova.

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Chiavari è una città risorgimentale e modernista, sospesa fra la memoria e il futuro. Siamo all’Enoteca del Gran Caffè Defilla, in Corso Giuseppe Garibaldi, a poche centinaia di metri dal mare, mentre fuori la Liguria è accecante di luce tardo invernale e fredda di vento che arriva dalle Alpi. Francesco Biamonti, in Le parole e la notte, scriveva a proposito della sua terra che ovunque «si sentiva odore di lentisco e di assenzio e, a folate, il mare che smemorava». Il Gran Caffè Defilla conserva le vetrate e i lampadari, gli specchi e gli ori del primo Novecento.

Vittoria è nata nel 1990. Ha un fratello di nome Augusto. Il padre, Antonio, è presidente di Federacciai. La madre, Sabina, è medico. Il compagno Orazio è il responsabile della scuola calcio dell’Entella, la squadra di Chiavari che partecipa al campionato di serie C. La loro figlia si chiama Nora: «Ha un anno, è la mia appendice», dice Vittoria mostrandomi le foto sul telefonino con la vibrazione emotiva totale delle giovani madri.

Nella geografia del nuovo sviluppo, i luoghi contano
in maniera diversa da quanto non abbiano contato
in passato.

Con la concentrazione di abilità imprenditoriale e di fortuna anche una piccola cittadina della provincia italiana ed europea come Chiavari può generare nuove imprese.

La sede dell’incubatore è un esempio – architettonico e simbolico – di dialogo fra il passato e il presente della nostra storia: nel palazzo di metà Ottocento, che per un secolo e mezzo aveva ospitato il liceo classico Federico Delpino, ci sono al piano terra un asilo nido e al secondo piano, appunto, Wylab.

«Il nostro affitto permette alla fondazione proprietaria dell’immobile di mantenere l’asilo, che per la comunità di Chiavari è molto importante. La mia famiglia mi ha portato, piccola piccola, in questo asilo. Da adolescente ho frequentato i cinque anni di liceo classico, prima che si spostasse in un altro punto della città. E, ora, sono qui al Wylab da sette. Posso dire che, dei miei trentadue anni di vita, ne ho trascorsi quindici qui dentro», sorride Vittoria. Che aggiunge: «Io e il mio compagno Orazio stiamo valutando di affidare la nostra Nora a queste maestre, che sono molto brave. Tanti e tante startupper, prima di raggiungere con una rampa di scale i loro uffici e i loro laboratori, lasciano al mattino i figli e le figlie nell’asilo al piano terra».

La cucina ligure, nell’illustrazione dei gestori dell’enoteca, è ben rappresentata con tutti i suoi grandi classici.

Prima di scegliere che cosa mangiare e che cosa bere Vittoria descrive il piccolo perno tecno-industriale costruito con Wylab, il veicolo che – nella nuova geografia dello sviluppo e nelle nuove forme societarie – investe in equity attraverso e in parallelo alla Tigullio Digital e alla Virtual, posseduta al 75% dalla famiglia Gozzi.

«Dal 2016 – racconta – qui a Chiavari abbiamo analizzato seicento start up. Alla fine, fra Wylab e Virtual, abbiamo puntato su dieci aziende, per un investimento totale di due milioni di euro. L’operazione migliore è stata con Wyscout, una banca dati del calcio basata su immagini e statistiche dei calciatori di duecento campionati di tutto il mondo. Uno strumento utile a chiunque operi a livello globale nel pallone: direttori sportivi, talent scout, agenti, giornalisti. Avevamo la metà del capitale. Il resto era del management. Due anni fa l’abbiamo venduta a Hudl, una società di Lincoln, in Nebraska. Il gruppo americano ha aperto una nuova sede sul mare e ne ha fatto il suo quartier generale europeo».

In tavola viene portato un minestrone alla genovese: verdure con poca pasta e, sopra, una abbondante aggiunta di pesto. «La strutturazione del calcio italiano – continua Gozzi – è per sua natura poco ricettiva ai cambiamenti. Dal punto di vista dell’equity e delle strategie, un elemento di potenziale disinnesco delle sue endogamie e delle sue chiusure è rappresentato dal blocco di squadre con proprietà anglo-americane: Roma, Milan, Fiorentina, Venezia, Pisa, Genoa. È difficile anche mutare mentalità sull’adozione delle nuove tecnologie. Noi abbiamo una piccola quota del capitale di Zone 7, una società fondata da ex militari israeliani che ha il suo cuore tecnologico a Tel Aviv e il suo quartier generale negli Stati Uniti a San Francisco. Zone 7 ha elaborato un algoritmo di intelligenza artificiale che calcola la probabilità degli infortuni degli atleti partendo dal monitoraggio dei biomarcatori e dei dati biometrici, della saliva e della qualità del sonno. Lo usano in Europa il Liverpool, il Leeds United, il Ranger Glasgow, il Celtic Glasgow, il Queens Park Rangers. Negli Stati Uniti la Major League Soccer. In Italia soltanto l’Entella e il Napoli. In pochi fra preparatori atletici, allenatori e direttori sportivi accettano l’idea che si possa predire il rischio di infortunio di un calciatore partendo dai big data e dalle reti neurali: diverse volte mi sono sentita dire che “è meglio l’occhiometro della macchina”. Che vuoi farci?».

L’industria del venture capital nello sport tech del nostro Paese ha un problema di contesto ambientale in cui svilupparsi: negli ultimi cinque anni, secondo i dati di SportsTechX, il valore degli investimenti nello sport tech è ammontato a 33,5 miliardi di dollari.

Di questi, 16 miliardi di dollari negli Stati Uniti e 3,1 miliardi fra Francia, Germania, e Gran Bretagna. Solo 37 milioni di dollari da noi. «Nel mondo – nota Gozzi – il mercato è esploso. Due anni fa c’erano 19 unicorni, aziende che da zero hanno generato un valore riconosciuto dal mercato maggiore di un miliardo di dollari. Adesso gli unicorni sono il doppio: 38».

In tavola viene portato il secondo. E, di nuovo, secondo l’abitudine ligure, abbondiamo di verdure bollite e saltate. In più prendiamo una fetta di torta alle patate. Da bere, giusto un dito di vermentino per entrambi. Vittoria trascorre parte della settimana nell’incubatore di Chiavari e parte nel gruppo di famiglia. I Gozzi hanno – fra il Nord Italia, la Svizzera e il Belgio – investimenti nella siderurgia, nell’energia e nello shipping. In famiglia, si è sempre creduto più all’impresa concreta che non al mercato astratto: «Ho frequentato con interesse e soddisfazione la Bocconi. Per me è stato fondamentale il semestre alla Singapore Management University. Ho stretto amicizie e legami professionali duraturi con due gruppi di miei coetanei. Il primo della Idc Herzliya della Reichman University, vicino a Tel Aviv. Il secondo, formato da americani di origini ebraiche, del Babson College di Boston, il primo per l’imprenditorialità negli Stati Uniti. A Milano ho però mantenuto un distacco culturale e psicologico rispetto al mainstream insegnato nelle aule di Via Sarfatti. Probabilmente, questo è avvenuto anche grazie all’influsso di mio padre Antonio e di mia madre Sabina, che hanno sempre avuto grande passione politica e che negli anni Ottanta aderivano al Partito Socialista».

Anche per questa ragione Vittoria non teme di usare l’espressione “fallimento del mercato” per il venture capital italiano. Non solo nello sport tech. «Fino al 2019 – nota Gozzi – tutte le start up italiane hanno avuto un valore di investimento pari a cento milioni di euro. Nulla in confronto agli Stati Uniti, alla Germania e a Israele. Per questo penso sia stato corretto istituire il fondo nazionale dell’innovazione, dotarlo di un miliardo di euro iniziale e affidarlo a Cassa Depositi e Prestiti. Ci sono dieci fondi. E sono stati creati venti acceleratori specializzati. Noi siamo partner tecnici di We Sport Up, che nel suo primo round ha favorito la fondazione di nove start up nell’ex sede del Totocalcio, al Foro Italico, di fronte alle piscine olimpiche. Ora vedremo se il meccanismo funzionerà. Ma, senza la mano pubblica, la struttura industriale del venture capital nazionale sarebbe stata poca cosa».

Arrivano i due caffè, accompagnati da pasticceria secca. Alle tre del pomeriggio, fuori, la temperatura si è all’improvviso alzata. Vittoria Gozzi cammina veloce sotto i portici verso gli uffici di Wylab. Nella nuova geografia dei luoghi e delle persone, anche la minuscola Chiavari e la piccola Italia – con le loro giovani donne e i loro giovani uomini – possono essere snodi della rete che forma l’intelligenza delle cose e la concretezza del pensiero di domani.

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