Lo stop del commercio internazionale annuncia la recessione
Il commercio mondiale nel terzo trimestre 2022 si è fermato al palo: l'indice composito elaborato dagli economisti del WTO fotografa un declino marcato della crescita degli scambi internazionali, molto al di sotto del trend storico
di Marcello Minenna
I punti chiave
6' di lettura
Con la pubblicazione di dati via via più recenti, i segnali di recessione globale si moltiplicano: anche il commercio mondiale nel terzo trimestre 2022 si è fermato al palo. L'indice composito elaborato dagli economisti del WTO (WTOI, vedi Figura 1) fotografa un declino marcato della crescita degli scambi internazionali molto al di sotto del trend storico.
Nei dati ora traspare limpidamente l'impatto aggregato dei diversi shock che l'economia globale ha assorbito in successione durante il 2022: prima la crisi energetica e l'estensione dell'impulso inflazionistico agli altri macro-settori, poi la guerra russo-ucraina e nell'ultimo trimestre la rapidissima stretta monetaria da parte delle banche centrali.
Scambi globali al palo, ma non è una crisi generalizzata
Le ripercussioni sulla crescita degli scambi internazionali sono severi, paragonabili al forte rallentamento del 2019, quando però i tassi di interesse negli USA erano in discesa e l'inflazione era ampiamente sotto controllo in tutte le economie sviluppate.
Guardando al dettaglio, va particolarmente male il settore dell'elettronica a trazione cinese (barre arancioni), che sconta più di tutti l'indebolimento della domanda globale e la crescente instabilità domestica (vedi caso Foxconn). È in rapido calo anche l'andamento degli ordini relativi alle esportazioni future (barre gialle), insieme a quello degli scambi via cargo navale (barre viola), con le tariffe di noleggio cointainer in caduta libera soprattutto lungo le rotte pacifiche tra Asia ed America. Di conseguenza, cede il passo anche il commercio via aerea (barre rosse), che era stato sostenuto paradossalmente dai massicci backlog e dai costi stratosferici di noleggio containers che si sono registrati nei principali porti mondiali nel 2021 e nei primi mesi del 2022. Paradossalmente questi livelli di prezzo hanno reso competitivo - per un periodo temporaneo - il trasferimento merci via cargo aereo. Dopo la febbre dei prezzi dello scorso anno, è in declino anche il commercio nel settore agro-alimentare (barre verdi).
Il settore automotive (barre azzurre) è sorprendentemente in controtendenza positiva, grazie al beneficio dell'allentamento delle tensioni sulle catene di fornitura globali e di una maggiore disponibilità di componentistica elettronica. L'espansione è stata sostenuta dalla buona tenuta del mercato retail negli USA e dalle esportazioni in forte aumento del Giappone, dove lo Yen debole sta supportando la competitività internazionale dell'industria automobilistica.
L'export europeo tra stagnazione bellica e svalutazione competitiva
Gli effetti della guerra russo-ucraina restano correlati principalmente con la vicinanza geografica al teatro delle operazioni belliche. La cartina di tornasole è ovviamente l’area Euro; in altri continenti (Asia sud-orientale o America Latina) l'impatto del conflitto sul commercio internazionale e sulle prospettive di crescita resta limitato rispetto al peso preponderante di altri fattori come la politica monetaria USA.
Dopo lo spettacolare recupero dovuto alle riaperture post-Covid del 2022 ed il successivo – vistoso - rallentamento, l'export dell'area Euro rimane in una fase di sostanziale stagnazione, con tassi annui di espansione dei volumi vicini allo 0% che riflettono la debolezza dei principali mercati di esportazione della manifattura (in primis quello cinese) e la crescita dei costi di produzione.
Nel 2022 si sono comunque osservati dei cambi strutturali importanti nei mercati di destinazione (vedi Figura 2): innanzitutto è cresciuta notevolmente la quota del mercato nord-americano (barre rosse), grazie soprattutto all'indebolimento dell'euro sul dollaro che ha permesso di guadagnare competitività rispetto al resto del mondo. È proseguito il declino delle esportazioni verso la Cina (barre grigie), dove il perdurare di condizioni di lockdown economy ha fortemente compresso la domanda di beni di consumo europei.
Non sorprendentemente, da marzo 2022 a causa del conflitto russo-ucraino sono crollati i volumi esportati verso i Paesi europei non-UE (barre celesti), che fortunatamente costituiscono solo uno sbocco minoritario per la produzione comunitaria.
Guardando al dettaglio di questa voce contabile, si percepisce l'impatto esplosivo del conflitto, con la rapida imposizione di una vasta gamma di sanzioni commerciali nei confronti della Russia. I volumi (vedi Figura 3, barre celesti) crollano tra gennaio e febbraio 2022 per poi stabilizzarsi intorno ad un calo del -5% nel corso dei mesi successivi. Entra in crisi anche l'export verso l'Ucraina (barre verdi), il cui territorio è teatro di pesanti operazioni belliche.
Non è un caso che contestualmente al declino delle esportazioni verso la Russia crescano quelle verso la Turchia (barre gialle). In larga parte si tratta di un rerouting degli stessi prodotti attraverso vettori di nazionalità turca, al fine di aggirare le sanzioni imposte dall'UE; una prassi elusiva che è diventata piuttosto comune. La crescita dei volumi verso la Svizzera (barre grigie) è invece un effetto positivo da attribuire al rapido indebolimento del tasso di cambio tra euro e franco svizzero.
Chi traina il boom delle importazioni
Dal mese di ottobre 2021, la bilancia commerciale dell'area Euro è tornata in territorio negativo, dopo oltre 10 anni consecutivi di surplus consistenti. A fronte di un'export stagnante questo effetto va ricondotto ad una crescita persistente dei volumi importati. Una prospettiva ampia sul fenomeno consente di capirne meglio le cause (vedi Figura 4).
Dall'andamento dei dati si identificano agevolmente tre impulsi espansivi: il primo (maggio 2020-maggio 2021) è evidentemente collegato al rimbalzo economico post-lockdowns. Durante l'estate 2021 le importazioni hanno condiviso lo stesso fenomeno di moderazione dei ritmi di crescita dell'export, sia per il rallentamento della congiuntura, sia per via della scomparsa di un forte effetto base nella misurazione delle variazioni percentuali rispetto al nadir della crisi pandemica di maggio 2020.
Il secondo impulso prende abbrivio nel quarto trimestre 2021 in concomitanza con il vertiginoso aumento dei prezzi di petrolio, gas ed altre materie prime energetiche. I volumi importati tornano a crescere a ritmi consistenti, trainati dal boom della manifattura cinese (barre grigie) e soprattutto dai prodotti energetici in arrivo dai Paesi europei extra-UE (barre viola) e dagli USA (barre rosse). Fermi invece gli scambi con i Paesi UE extra-Euro (barre marroni - Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria) che avevano sostenuto il grande rimbalzo delle riaperture post-pandemia.
Dopo un'apparente stasi ad inizio 2022, si rileva una terza spinta a seguito della deflagrazione del conflitto russo-ucraino, che ha rinfocolato le pressioni inflazionistiche sui beni energetici ed avviato un redesign radicale delle rotte commerciali. In questa fase, si nota una rapida compressione delle importazioni dai Paesi europei extra-UE ed una contestuale espansione dei volumi in arrivo dall'Asia (barre marroni).
Per quanto riguarda il primo fenomeno, è molto utile osservare la decomposizione di dettaglio (vedi Figura 5) ed il cambiamento della struttura dei Paesi di origine delle importazioni.
Durante il primo impulso, trainano la crescita le importazioni da Turchia e Svizzera (barre gialle e grigie) non collegate a prodotti energetici insieme ai volumi importati dalla Russia, che sono prevalentemente petrolio e gas naturale. Nella seconda fase, crescono enormemente gli arrivi di idrocarburi dalla Norvegia (barre arancioni, il tasso di crescita passa dallo 0% al 15% annuo) mentre l'import dalla Russia resta stagnante per via degli attriti crescenti tra UE e Russia sulla possibile attivazione del gasdotto North Stream 2, che verrà danneggiato gravemente nei mesi successivi.
Dopo l'avvio del conflitto, comincia il precipitoso declino delle importazioni di idrocarburi dalla Russia. Dal grafico si nota con un discreto colpo d'occhio come il peso dell'import dalla Norvegia sia ulteriormente in crescita a partire dall'estate scorsa, in maniera tale da più che compensare il declino dei volumi in ingresso dalla Russia.
Per quanto riguarda la recente espansione della quota del mercato asiatico (le barre marroni), è plausibile che si tratti anche qui di un rerouting verso l'Europa di gas liquefatto (GNL) russo attraverso i grandi hub asiatici di interconnessione.
La ristrutturazione del mercato energetico durante il calo della domanda
Dato l'impatto preponderante dei beni energetici, è opportuno analizzare i movimenti specifici delle importazioni di prodotti petroliferi da parte dell'area Euro (vedi Figura 6).
Al movimento tellurico imposto dallo shock pandemico e dalla successiva ripresa tumultuosa degli scambi commerciali, si è rapidamente sovrapposto lo shock energetico dell'autunno-inverno 2021-2022 che ha fatto crescere il valore delle importazioni di oltre il 100% in 6 mesi, principalmente per effetto dell'aumento dei prezzi.
Si noti bene cosa accade da partire da febbraio 2022: da un lato il valore delle importazioni dalla Russia, storicamente il primo partner commerciale dell'area Euro (barre rosse, 25% del totale delle importazioni) comincia a declinare in maniera vistosa, mentre esplodono le quote di Arabia Saudita (barre gialle) ed altri Paesi (barre grigie). A giugno 2022 si raggiunge un picco evidente nella spesa per importazioni energetiche, che inizia un rapidissimo declino: è l'effetto di distruzione della domanda che prende rapidamente piede a seguito del forte rallentamento economico dell'UE, che verosimilmente si tramuterà in recessione nei prossimi mesi.
Anche in questa fase di declino, è apprezzabile notare l'espansione della quota di importazioni dagli USA, costituita prevalentemente da GNL. Per un mercato caratterizzato da quote piuttosto stabili nel tempo, si tratta di una rivoluzione enorme che testimonia gli sforzi (ed i successi) di diversificazione dall'energia russa, in una maniera che non si riteneva possibile all'inizio del conflitto.
Si tratta di cambiamenti che implicano naturalmente un maggiore costo dell'energia, trasportata da più lontano ed in maniera meno efficiente. Difficile dire se rimarranno permanenti, soprattutto dopo un'eventuale risoluzione del conflitto.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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