Lo strano caso Rolex, l’offerta stabile fa salire domanda e liste di attesa
Nel 2021 Rolex aveva una quota di mercato del 29% (che sale al 40% negli Stati Uniti) e un fatturato stimato di 8 miliardi di franchi svizzeri
di Giulia Crivelli
3' di lettura
Non sempre brand awareness e leadership di mercato coincidono. Nel caso di Rolex però è così. Il marchio svizzero di orologi è tra i più conosciuti al mondo ed è primo per quota di mercato nell’alta gamma, segmento che di fatto coincide con i segnatempo Swiss made. Secondo il più recente report di LuxeConsult e Morgan Stanley, nel 2021 Rolex aveva una quota di mercato del 29% (che sale al 40% negli Stati Uniti) e un fatturato stimato di 8 miliardi di franchi svizzeri. Posizione dominante soprattutto considerando che numero due e tre sono Omega e Cartier, ma con quote di mercato vicine, in entrambi i casi, al 7%, cioè un quarto circa di Rolex. È difficile trovare altri settori, nel lusso e non solo, con un simile distacco tra il gradino più alto del podio per quote di mercato e fatturati e gli altri due.
La domanda di Rolex continua a crescere, ma la maison, di fatto, non l’asseconda, in particolare per il segmento più venduto, quello degli orologi in acciaio. Il risultato? Ogni concessionario ufficiale è costretto a mettere ogni aspirante cliente in lista d’attesa (che possono essere anche superiori all’anno) e così scoraggia - effetto collaterale da non sottovalutare - la richiesta di sconti, da sempre tema sensibile nell’alta orologeria, perché può erodere i margini dei punti vendita e delle aziende. La leadership assoluta di Rolex dura da moltissimi anni e si può spiegare in diversi modi, oltre alla rigidità dell’offerta rispetto alla domanda, che rafforza la desiderabilità.
Da una parte c’è il prezzo medio di un Rolex, che è comunque inferiore a quelli di altre maison dell’orologeria svizzera molto ambite, come Patek Philippe e Vacheron Constantin. I tre marchi sono sempre i più venduti alle aste, che non hanno di fatto conosciuto crisi durante la pandemia, con quotazioni e lotti venduti che hanno superato già nel 2021 i livelli pre covid. In altre parole tutti e tre i marchi citati sono un buon investimento – come dimostrano le crescenti quotazioni a tutte le aste, da New York a Ginevra, passando per l’Asia – ma differiscono per entità della cifra da spendere (da 10mila in su per un Rolex, da 100mila in su per Patek e Vacheron).
Prezzi che si traducono anche nelle quantità: il report LuxeConsult-Morgan Stanley stima che nel 2021 Rolex abbia prodotto 1,05 milioni di orologi, 980mila in più di Patek Philippe e quasi il doppio di Omega. Il secondo motivo del successo di immagine e di vendite di Rolex è la strategia di comunicazione: la maison sponsorizza atleti e competizioni di sport molto diversi, dal tennis al golf, dalla vela alla Formula Uno, ma anche numerose istituzioni culturali e artistiche, dall’Academy per gli Oscar del cinema alla Scala di Milano. Ci sono poi le partnership con esploratori e difensori dell’ambiente e il programma mentor&protégé, per scoprire e far fiorire nuovi talenti nelle arti.
In altre parole: un orologio Rolex non è solo un orologio. Non è neppure uno status symbol nella vecchia accezione del termine: chi lo porta non manda soltanto un segnale di ricchezza, vuole far capire che appartiene a un mondo. Non esattamente un club ristretto, visto il numero di prezzi prodotti superiore al milione (contro i 60mila di Patek e i 30mila di Vacheron), ma che mantiene un mix inimitabile di caratteristiche: qualità svizzera, immagine internazionale e di successo legata a personalità di spicco dei campi più disparati. Se Rolex fosse quotata, è difficile immaginare che azionisti grandi e piccoli sottoscriverebbero la rinuncia ad assecondare la domanda. Ma Rolex è controllata dalla Fondazione Hans Wildorf (dal nome del suo fondatore) e non deve preoccuparsi di trimestrali e andamenti in Borsa. La visione di lungo periodo, forse, si dimostra la miglior strategia di marketing possibile.
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