Lo strapotere del dollaro affossa anche l’oro
Il prezzo dell'oro, che aveva raggiunto i massimi storici ad oltre 2.000 $ l'oncia subito dopo la deflagrazione del conflitto in Ucraina, sta sperimentando un declino piuttosto rapido dopo un classico doppio picco speculativo
di Marcello Minenna*
6' di lettura
Nessuna asset class è al riparo dalle ripercussioni derivanti dal violento rafforzamento del dollaro. Anche il prezzo dell'oro, che aveva raggiunto i massimi storici ad oltre 2.000 $ l'oncia subito dopo la deflagrazione del conflitto in Ucraina, sta sperimentando un declino piuttosto rapido dopo un classico doppio picco speculativo (vedi Figura 1): da marzo 2022 il metallo giallo ha perso il 20% e le prospettive a medio termine inducono gli analisti a prospettare un ulteriore discesa.
Non si tratta solo dell'impatto di un dollaro più forte. La domanda globale di oro si sta rapidamente raffreddando anche per altre cause concomitanti, nonostante l'elevata inflazione e l'incertezza politico-economica siano da sempre fattori favorevoli ad una fuga degli investitori verso i “porti sicuri” (safe haven).
Dopo lo shock bellico: la corsa all'oro si raffredda
Il picco del prezzo ad oltre 2.000 $ dello scorso marzo è stato sostenuto principalmente dall'afflusso di capitali speculativi sui fondi di investimento specializzati nelle negoziazioni in oro (gli Exchange Traded Funds, ETF). Dalla Figura 2 che decompone la variazione della domanda globale di oro in fattori determinanti, si osserva l'impatto immediato sulla domanda (barre grigie) dell'ingresso di liquidità sul mercato per oltre 100 tonnellate, dopo diversi trimestri di prolungato deleveraging.
L'afflusso record peraltro è avvenuto in un momento in cui la domanda per altri usi era in ottime condizioni. La richiesta di gioielleria (barre gialle) ad inizio 2022 era in boom dopo lo stop momentaneo causato dai grandi lockdown generalizzati del 2020, trainata in particolare dai consumi di India (+91% annuo) e Paesi del Medio Oriente. Anche la richiesta di lingotti ad uso investimento era in buona crescita (barre verdi), mentre era tornato in positivo il contributo degli acquisti di oro da parte delle banche centrali dei Paesi emergenti (barre celesti), impegnate in strategie di de-dollarizzazione di lungo termine.
Nei trimestri successivi si è osservato un rapido ridimensionamento di tutti questi fattori determinanti. La domanda di gioielleria e lingotti è entrata in stallo per via del deterioramento progressivo delle prospettive di crescita economica in Asia, mentre si è manifestato un rapido deflusso di liquidità verso investimenti finanziariamente più redditizi: principalmente i Treasuries USA (UST), il cui rendimento stava subendo un rapido rialzo.
Anche gli acquisti delle banche centrali si sono de facto fermati nel 2022, a causa dello shock causato dalle sanzioni finanziarie alla Russia che hanno congelato l'accesso alle riserve valutarie ed in oro in deposito presso le banche centrali occidentali.
Il ruolo del rialzo dei tassi di interesse Usa nella distruzione della domanda di oro
Ad inizio 2022 il contesto macroeconomico incentivava fortemente gli investimenti in oro. Durante il 2021, l'inflazione era salita a livelli elevati su scala globale a causa di shock multipli all'offerta sui mercati dell'energia, mentre le autorità monetarie mantenevano una stance piuttosto rilassata, lasciando i tassi di interesse invariati. Il consensus di mercato infatti prevedeva una moderazione dell'inflazione dopo un rapido aumento dovuto alla riapertura delle economie post-lockdowns.
Di conseguenza per via dell'alta inflazione e dei tassi di interesse ancorati a zero, i tassi reali nelle principali economie industrializzate erano diventati profondamente negativi, a livelli vicini a quelli sperimentati negli anni ‘70.
In un contesto di tassi reali negativi, è difficile proteggersi dall'erosione del potere di acquisto provocata dall'inflazione, senza investimenti finanziari a basso rischio capaci di offrire rendimenti positivi e senza meccanismi di indicizzazione di stipendi/salari. In altri termini, i tassi d'interesse reali negativi avvantaggiano chi detiene commodities reali e debiti a tasso fisso: i governi in primis che vedono il debito pubblico “sgonfiarsi”, i detentori di mutui ed ovviamente gli investitori in oro.
È possibile apprezzare con un discreto colpo d'occhio questo fenomeno osservando i rendimenti degli UST al netto dell'inflazione (vedi Figura 3). I dati mostrano infatti una riduzione dei rendimenti reali di 190 punti base per i titoli a medio-lungo termine e di 100 per quelli a lunghissimo nel periodo 2020/2021, fino ai minimi raggiunti a inizio dicembre 2021. I rendimenti negativi a partire da aprile 2020 implicavano che gli investitori in titoli del Tesoro USA stavano sperimentando un'erosione provocata dall'inflazione.
È evidente che, a parità di fattori, la crescita di questo costo-opportunità nella detenzione di titoli governativi stava favorendo lo spostamento di nuovi flussi di liquidità verso l'oro, che naturalmente è protetto dal rischio di inflazione.
Il quadro è mutato velocemente dalle prime settimane del 2022, per via della stance di politica monetaria via via più aggressiva delle banche centrali (Federal Reserve in primis), che hanno annunciato rialzi multipli dei tassi di interesse-chiave nel corso dell'anno. A maggio i tassi di interesse reali USA sono tornati in territorio positivo e, dopo un breve ripiegamento nel corso dell'estate, nelle ultime settimane hanno accelerato il ritmo di crescita portandosi oltre l'1,5%. Si è manifestato inoltre un processo di convergenza verso valori simili lungo tutte le scadenze, che ha invertito l'usuale “pendenza” della curva dei tassi di interesse che prevede che i titoli di lungo periodo quotino un rendimento implicito più elevato.
Ovviamente, tassi di interesse reali superiori all'1,5% hanno creato un costo-opportunità troppo elevato nel detenere oro a rendimento zero, considerando che ci sono categorie di titoli USA perfettamente indicizzati al tasso di inflazione che svolgono le stesse funzioni dell'investimento in oro.
La risacca dell'onda speculativa sull'oro
Dopo il boom di marzo 2022, gli speculatori hanno abbandonato rapidamente il mercato “dell'oro finanziario” (vedi Figura 4). Da maggio 2022 i deflussi dagli ETF specializzati in negoziazioni in oro si sono mostrati persistenti, nell'ordine di 3/4 miliardi di $ mensili.
Se osserviamo la decomposizione per area geografica dello spostamento dei flussi di liquidità dagli ETF, è immediato notare come il deflusso sia quasi un'esclusiva dei mercati occidentali (Nord-America, barre arancioni ed Europa, barre rosse). La guerra in Ucraina ha influenzato solo marginalmente il mercato asiatico (barre gialle). In particolare, appare chiaro come la dinamica degli ultimi mesi sia associabile ad un graduale deleveraging delle posizioni aperte durante il picco speculativo di marzo, con un ritorno allo status antebellico. Negli USA infatti i deflussi si stanno stabilizzando dopo avere compensato gli afflussi del primo trimestre dell'anno, mentre in Europa il processo di riequilibrio sembra in ritardo di alcuni mesi.
C'è un aspetto più tecnico che ha esacerbato il riflusso degli investimenti speculativi in oro. Durante il boom di investimenti effettuato tra febbraio e marzo 2022 in risposta allo scoppio della guerra, gli acquisti delle quote di fondi ETF sono stati finanziati principalmente a leva, accendendo debito a breve termine a tassi molto bassi. Il rapidissimo rialzo dei tassi nei mesi successivi ha rapidamente accresciuto i costi associati a queste posizioni debitorie. Progressivamente, la maggioranza degli speculatori ha chiuso le proprie posizioni, limitando le perdite ed ha liquidato contestualmente gli investimenti in ETF specializzati in oro.
Oro nei forzieri delle banche centrali: la guerra congela le strategie di de-dollarizzazione
Nel 2022 è proseguito il generale stallo degli acquisti di oro da parte delle banche centrali dei Paesi emergenti rispetto al dinamismo mostrato durante il decennio precedente (vedi Figura 5). I grandi player (Russia, Cina) sono rimasti sostanzialmente alla finestra, mentre l'India (barre arancioni) prosegue un programma di acquisti a ritmo moderato.
La Turchia è intervenuta sul mercato a più riprese per riacquistare parte dello stock di riserve liquidato durante la crisi valutaria di novembre-dicembre 2021, ma la scala delle transazioni è modesta rispetto a quanto osservato storicamente. Negli ultimi mesi si è osservato un interessante attivismo da parte dei Paesi dell'ex blocco sovietico: sia il Kazakhstan che l'Uzbekistan hanno effettuato gli acquisti più rilevanti del 2022.
Sul mercato pesa l'impatto delle sanzioni occidentali alla Russia, che hanno de facto impedito l'accesso della banca centrale russa ai propri stock di riserve valutarie ed oro depositati all'estero. Si tratta di un evento estremo che non era mai stato considerato possibile nelle strategie di de-dollarizzazione dei Paesi emergenti, che erano volte a ridurre esplicitamente il peso delle istituzioni USA nella gestione della politica economica domestica.
Diversi Paesi emergenti stanno valutando interventi più radicali per sfuggire alla dominanza globale del dollaro, quali il passaggio progressivo del mercato dei prodotti energetici alla negoziazione in altre valute. Cina, India e Russia stanno provando meccanismi alternativi per piccole transazioni, ma il rischio di fallimento di questi tentativi resta assai elevato.
Pragmaticamente la ripartizione delle riserve auree a livello globale resta perfettamente stazionaria (vedi Figura 6), con il 70% delle riserve globali di oro nei forzieri dei Paesi occidentali, che da tempo non effettuano più significative operazioni di dismissione.
In definitiva, la dittatura del dollaro è completa in ogni aspetto del sistema finanziario globale. Nonostante il valore di bene rifugio e le velleità di asset strategico, l'oro resta una semplice commodity soggetta alle fluttuazioni del valore della valuta di riserva globale.
*Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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