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Lo zar dell’economia: «L’India apre la porta alle imprese italiane»

Il vicepresidente NITI Aayog - la commissione che traccia la linea economica - illustra gli obiettivi del governo: «Servono investimenti stranieri»

di Ugo Tramballi

(REUTERS)

4' di lettura

Mese dopo mese, per tutto il 2019 i segnali erano stati negativi: si prevedeva una crescita di poco superiore, poi di poco inferiore al 6%; altri annunciavano il cinque e mezzo. Infine la sentenza del Fondo monetario internazionale e la conferma del bilancio presentato in Parlamento il 1°febbraio: un 4,8% quasi inutile di fronte alla demografia indiana, solo a 1,3 punti da quella che il Nobel Amartya Sen chiamava “crescita hindu”, la lunga stagnazione prima delle riforme iniziate nel 1991.

«È un calo straordinario e irripetibile: nessuna economia può crescere in assenza di crediti bancari», garantisce Rajiv Kumar, il vicepresidente di NITI Aayog – il presidente è Narendra Modi, il premier - l’ente che ha sostituito la Commissione del Piano. Per decenni la Commissione aveva fissato i tempi e gli obiettivi del pachiderma indiano. Ora lo fa Kumar. È lui che “consiglia” il primo ministro su come raggiungere il grande obiettivo promesso entro la fine del suo mandato, fra meno di cinque anni: un’economia da 5mila miliardi di dollari, quasi il doppio di oggi.

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Il suo ufficio nel centro di Delhi, a due passi dal Parlamento, è lo stesso che per dieci anni, fino al 2014, aveva occupato Montek Singh. L’unico cambiamento visibile è la foto del premier: prima c’era quella di Manmohan Singh del Congress, ora di Narendra Modi del Bjp. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha promesso che il 2020 sarà l’anno del rilancio dei rapporti economici con l’India: presto guiderà una missione di sistema a Delhi. Nessuno meglio dello zar dell’economia di questo Paese può consigliare gli imprenditori italiani.

«Nel periodo aprile-dicembre 2018 - ricorda Rajiv Kumar, tornando sulle cause della bassa crescita -le banche facevano crediti per 113mila miliardi di rupie (1.448 miliardi di euro, ndr) ora per 3.500(44 miliardi in euro). L’economia indiana è affamata di credito e questo perché le banche, i cui asset per il 67% sono pubblici, sono terrorizzate. Il governo sta cambiando regole e comportamenti, sta imponendo trasparenza e legalità ma occorre tempo perché diventino prassi».

Il presidente di Tata Sons, conglomerata indiana da 110 miliardi di dollari, dice che occorre «ripensare l’economia»: c’è «una massiccia avversione al rischio».

Il problema sono appunto le banche. Oggi chiedono il 100% di diritti reali di garanzia, fanno riempire centinaia di moduli. L’avversione al rischio è di banche e imprese. E poi ci sono i burocrati. In questa fase di transizione delle regole nessuno sa che regime funzioni.

Rilancerete l’economia con le privatizzazioni?

Il primo ministro vuole rilanciare il settore privato. Nessun altro premier aveva ammesso che la ricchezza creata dai privati deve essere rispettata e onorata. Gli obiettivi sono stabiliti. NITI Aayog sta identificando dove raccomandare le privatizzazioni.

Ci sarà un ruolo anche per gli investitori stranieri?

Certo, possono venire a investire con tranquillità. Personalmente sarei favorevole ad aprire anche il settore bancario ma per ora non c’è grande consenso su questo. Tutti gli altri settori sono aperti, stiamo liberalizzando.

Al momento però non c’è una grande corsa all’India.

Le dichiarazioni di alcuni ministri hanno dato segnali contrastanti. Ma se guarda il quadro complessivo, l’India è ancora una storia globale. Quest’anno gli investimenti stranieri sono stati molto alti: 62 miliardi di dollari. Ma per noi non è abbastanza.

Bezos è venuto in India a proporre un investimento da un miliardo di dollari in cinque anni e un milione di posti di lavoro. È stato maltrattato e deriso. Non è l'unico caso di swaeshi, di nazionalismo economico.

Su quello che hanno detto alcuni ministri non la posso rassicurare. Le posso però dire che nel mio dialogo con il premier è chiaro che l’India è favorevole agli investitori stranieri: li vogliamo e per chiunque desideri incontrarmi, la mia porta è sempre aperta.

Agli italiani cosa raccomanda?

In termini di settore?

Lo zar dell’economia indiana è lei.

Non dovete avere una strategia pan-indiana. Focalizzatevi su alcuni stati, studiateli con attenzione e poi entrateci in profondità. I coreani lo hanno fatto e hanno avuto un grande successo. Qui ogni stato dell’Unione è un paese: diverso uno dall’altro come l’Italia dalla Scozia. Sceglietene uno, due, al massimo tre. Se sei orientato all’export devi andare in uno stato con i porti sull’oceano; se punti alla trasformazione agro-alimentare, dove l’Italia è forte, devi andare al Nord. Questo settore è estremamente interessante: solo il 10% della produzione è lavorato. Importiamo 400 milioni di tonnellate di pomodori in un Paese in cui gli agricoltori buttano i pomodori che producono a causa dei costi di trasporto. Per l’edilizia c’è una grande domanda. Infine il settore farmaceutico, siamo forti nella produzione di medicine ma non abbiamo back-up.

Tornando alle dimensioni dell’economia, con una crescita del 4,8% sarà difficile raggiungere i 5mila miliardi in meno di cinque anni.

La nostra economia vale già quasi 3mila miliardi, ci serve una crescita dell’11%. Ce la possiamo fare. L’attuale bassa crescita è straordinaria.

La demografia non aiuta: più di un miliardo e 300 milioni di abitanti e da qui al 2040 è prevista una crescita del 12% della popolazione.

Il primo ministro ha detto chiaramente che dobbiamo avere una politica demografica. Non so ancora come ma non sarà un’imposizione alla cinese: punteremo sugli incentivi, non sugli obblighi, migliorando l’educazione e la qualità della vita. Ma è vero, abbiamo troppe bocche da sfamare. Credo che quando avremo un miliardo e 600 milioni di abitanti raggiungeremo la stabilità.

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