ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl Graffio del lunedì

Locatelli affonda il Milan, la Juve si affaccia in zona scudetto

Per i bianconeri terzo posto rampante a due distanze dall’Inter e a una dai rossoneri che dal weekend escono con le ossa rotte

di Dario Ceccarelli

La Barba al Palo - La Juve ha voglia di vincere subito

6' di lettura

Attenzione, avviso ai critici di Allegri: nella tavola dello scudetto va aggiunto un posto in più, quello della Juventus che, nella tanto attesa sfida a San Siro col Milan, conquista, grazie a una fiondata di Locatelli, tre preziosi punti che la proiettano al terzo posto. Terzo posto rampante a due distanze dall’Inter e a una dai rossoneri che, da questo week end, escono con le ossa rotte perdendo sia la testa della classifica sia il big match con la Juve, test sempre significativo per capire lo stato dell’arte di una candidata allo scudetto.

La squadra di Allegri, intendiamoci, vince alla sua maniera: col braccino corto. Cercando di non correre rischi fino a quando gli equilibri non si spezzino a suo favore. Nella fattispecie gli equilibri saltano cinque minuti prima dell’intervallo quando Thiaw, scavalcato da una finta di Kean, si fa espellere buttando giù l’attaccante bianconero orma lanciato a rete. Cartellino rosso ineccepibile che però cambia sostanzialmente il quadro della partita. In inferiorità numerica, Pioli toglierà un attaccante (Pulisc) per ricompattare la difesa con l’inserimento di Kalulu.

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In pratica dopo un primo tempo più a favore del Milan (ma con una sola occasione da rete al 45’ quando Szczesny neutralizza in tuffo un’angolata deviazione di Giroud), si sviluppa una ripresa più bianconera.

Tra due squadre penalizzate da squalifiche e infortuni, il secondo snodo decisivo arriva al 63’ quando Locatelli, con un potente destro dalla distanza, batte il portiere Mirante, sorpreso da una maldestra deviazione di Krunic.

Un gol, quello di Locatelli, ex rossonero con licenza di piangere, che spariglia una partita caratterizzata da una precedente giostra di cambi (Vlahovic e Cambiaso al posto di Kean e Kostic nella Juve; Krunic e Jovic per Adli e Giroud nel Milan).

Solo che ormai la sfida viaggia su un piano inclinato a favore dei bianconeri che, su contropiede, avrebbero anche un paio d’occasioni per raddoppiare. E il Milan, con l’attacco ormai spuntato, non riesce più a rovesciare una sfida condizionata dalle sue ingenuità difensive. Una sconfitta doppiamente pesante perché mercoledì i rossoneri dovranno vedersela a Parigi con il Psg in Champions. Per completare, domenica prossima arriva un altro incrocio pericoloso con il Napoli al Maradona. Una settimana difficile, insomma. Di solito, da questi up & down, Pioli è sempre riuscito a risollevarsi. Ma gli esami, nel calcio, non finiscono mai.

Serie A, la Juve vince a san Siro contro il Milan. Bene Roma e Bologna

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L’Inter torna regina

E cosa vogliamo dire dell’Inter, nuova capolista? Beh, il contrario di quello che si era detto dopo i due flop casalinghi con il Sassuolo e il Bologna. E cioè che è la più titolata per la corsa al titolo. A Torino, i nerazzurri ritornano sulla cresta dell’onda vincendo (3-0) con quell’apparente facilità che hanno sempre dimostrato quest’anno in trasferta. Nella quattro partite giocate fuori casa, infatti, il punteggio è pieno e sonante: 4 vittorie, 12 punti e 10 gol realizzati e nessuno subìto. Una media scintillante che non ha eguali in Europa. Meglio che l’Inter giochi sempre lontano da San Siro, stadio evidentemente non più benigno per la squadra di Inzaghi, che infatti vuole trasferirsi a Rozzano. L’Inter è così: fuori casa è senza pietà. Cinica e brutale. Con il Torino, dopo un primo tempo non memorabile, ha poi colpito appena il forte centrocampista Schuurs è uscito in lacrime per un infortunio al ginocchio. Da quel momento, il Toro si è trasformato in un tenero agnello sacrificale.

Se poi ci mettiamo la buona vena offensiva di Lautaro (11 gol) e Thuram, la frittata è fatta. Diciamo la verità: non è stata un’Inter bellissima, però certamente efficace. Altri discorsi più celebrativi è meglio non farli. Sia perché non è detto che Lautaro vada avanti a far gol a raffica, sia perché il Torino, tra nuovi infortuni e assenze, non è un test particolarmente attendibile.

De Laurentiis batte Berlusconi

Anche il Napoli si è riscattato dopo dopo le ultime magre. Il 3-1 a Verona, pur senza Osimhen e Anguissa, è uno di quei risultati pur non straordinari che spazzano via le nuvole dopo tutto il teatrino tra Garcia e De Laurentiis. In un certo senso, visto la nuova piega commissariale del Napoli, si può dire che è stata la prima vittoria con il presidente in panchina. E Garcia in qualche modo può respirare. Non è bello e dignitoso avere un presidente così ingombrante (al confronto Berlusconi col Milan era un timido) però questa è la realtà dei fatti. Se la “nuttata” sia passata è presto per dirlo. Ma qualche segnale si nota. Come la buona vena di Politano (primo gol) e di Kvraratskelia (seconda doppietta in campionato). Meglio averli amici, due giocatori così. E anche il fiero Rudi Garcia sembra aver capito la lezione.

Sarri e Mourinho fuori dalla crisi

Salgono anche le romane, forse uscite dalle paludi della depressione. La Lazio, battendo (2-0) il Sassuolo a Reggio Emilia, ritrova le sue magie. Quelle che le hanno permesso di conquistare l’anno scorso il secondo posto. Con Luis Alberto in stato di grazia, i biancocelesti hanno saltato l’ostacolo con la leggerezza dei forti. Sarri era in tribuna, ma in campo si vedeva il suo calcio: brillante, corale, mai episodico. Anche la Roma, superando il Monza all’Olimpico (1-0) con una rete in extremis di El Sharawy, trova la sua quarta vittoria consecutiva tra campionato e coppe. Per Mourinho, ben felice di aver dato una spazzolata a Palladino dopo le scintille reciproche dei giorni scorsi, è un altro prezioso mattoncino nella ricostruzione della friabile architettura giallorossa.

La Roma comunque non ha brillato, nonostante la superiorità numerica per l’espulsione di D’ambrosio. La forza della Roma è stata la sua tenacia. Bravo El Sharawy a dare l’ultima zampata. Il suo nome era circolato tra quelli chiacchierati per il calcio scommesse. Veleni finiti nel nulla e definitivamente scacciati con un pianto liberatorio dall’attaccante giallorosso.

Non siamo tutti ludopatici

Come spesso succede in Italia, anche i drammi finiscono in farsa. Lo si vede anche per la vicenda del calcio scommesse, ormai diventata, nonostante la sua gravità, una telenovela di stucchevole ipocrisia. Dopo la prima ventata di indignazione per le imbarazzanti ammissioni dei nostri campioni, ora c’è già una corsa scomposta alla loro riabilitazione, un compiaciuto tender la mano per perdonarli e “capirli”, poveri ragazzi immersi nell’effimero nulla di una vita sport e di milioni. Tonali, che fa un giro d’onore tra gli applausi dei tifosi del NewCastle, Fagioli che viene rincuorato perfino da Allegri, buon samaritano solo quando vince. Di Zaniolo lasciamo perdere, tanto si dirà che dietro ai suoi zig zag c’è una famiglia complicata e una adolescenza inquieta.

Per carità, giusto non mettere alla gogna nessuno; e farli ripartire con un percorso di recupero. Però tutta questa comprensione, tutta questo perdonismo di facciata, da genitori senza regole, è davvero fuori luogo. Questi ragazzi non sono banditi, ma neanche ingenue vittime in balia del mondo crudele. Quello che hanno fatto è grave, anche perché dalla vita hanno avuto tutto: talento, popolarità, ricchezza e lo hanno buttato al vento per qualche scarica di adrenalina in più.

Prima di offrirgli un perdono inutilmente sbrigativo, è giusto che affrontino anche critiche e fischi. Non per cattiveria, o sadico intento punitivo ma perché capiscano che la vita vera fa meno sconti di un giudice sportivo.

L’addio di Bobby Charlton

Come già per altri famosi campioni del passato, la morte del leader del Manchester United e della nazionale inglese ha lasciato una profonda commozione. E parliamo di un giocatore - per quanto famoso e carismatico - che ha dato il meglio negli Anni Sessanta, quando la televisione era ancora in bianconero e le partite dove si poteva ammirarlo capitavano una volta all’anno in Coppa dei Campioni oppure (ogni quattro) durante la Coppa del mondo compresa quello memorabile del 1966 quando Sir Bobby trascinò l’Inghilterra al suo primo (e unico) mondiale.

Tanto tempo fa, quindi. Un altro calcio, un altro mondo. Eppure, ricordare Charlton, figlio di minatore diventato baronetto, con quel suo ciuffo spelacchiato, la sua classe e il suo modo vigoroso di stare in campo, ci ha emozionato riportandoci a un’altra dimensione del calcio. Più sobria, più attesa, meno urlata anche se il tifo lo si faceva anche allora. E dove la trasgressione - per esempio quella di George Best, suo opposto per chioma folta e platealità di gioco - andava davvero contro corrente in un mondo molto più rigido e intollerante di quello attuale.

Con le sue 758 partite con la maglia dei Red Devils, Charlton è stato il simbolo della fedeltà, del rigore, della scuola british applicata al football. Ognuno è figlio del suo tempo, ma quel calcio, confrontato a quello di oggi, dove contano solo i soldi e i like dei followers, suscita a chi lo ha vissuto un profondo rimpianto. Lo stesso struggente sentimento che ha trasmesso Bruno Conti quando, nell’intervallo di Roma- Monza, è stato festeggiato all’Olimpico per i suoi 50 anni in giallorosso. Nostalgia? No, solo l’inquietante sensazione che il meglio sia già passato.

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