Lodo Guenzi: «L’indie ha vinto? Per fortuna no. Altrimenti non avrebbe nient’altro da dire»
Il frontman dello Stato Sociale torna in Rai con «Tutto quanto fa cultura». E ci parla di Tv divulgativa, del feeling con Pupi Avati, dell’anno particolarissimo vissuto dalla band e di quel che resta della scena del 2012
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Ridendo e scherzando sono passati già dieci, undici anni da quel biennio 2012/2013 che secondo i Maya doveva essere la fine del mondo ma, più modestamente, fu l’inizio della parabola del cosiddetto indie italiano, quel «do it yourself» musicale di casa nostra che sperimentava il pop e s’impratichiva con le classifiche. I media che hanno seguito la scena dall’inizio s’interrogano su cosa resti di quella stagione che, tra gli altri, regalò al Paese Thegiornalisti e Calcutta. A una manciata di settimane dall’uscita del secondo album solista di Tommaso Paradiso e alla vigilia del ritorno discografico di Edoardo D’Erme dopo cinque anni di silenzio, noi giriamo la domanda a uno che, nel 2012, c’era. Ed era pure sul palco: «Cosa resta dell’indie? Beh, in questo momento è una playlist di Spotify, una categoria commerciale. Quello che nasceva fuori dal mercato è diventato parte del mercato, con i pregi e i limiti che questo può voler dire. Noi dovremmo interessarci a quello che domani nascerà fuori dal mercato. Un po’ come è sempre stato, da quando esiste il music business». Così parlò Lodo Guenzi dello Stato Sociale, progetto al centro di quella scena che proprio nel 2012, con l’album Turisti della democrazia, debuttò e adesso sta per lasciarsi alle spalle uno degli anni più intensi e complicati della propria storia. L’occasione per parlarne è il suo ritorno in Tv con Tutto quanto fa cultura, magazine in onda il giovedì notte su Rai 2 a mezzanotte e 15, realizzato con cinque autori (Gida Salvino, Nicola Borghesi, Anna Rita Cammerata, Roberto Del Bove e Lorenza Rossi) e in studio, tra gli ospiti fissi, Cristina Battocletti e Massimo Scaglioni.
Il titolo rimanda a «Odeon, tutto quanto fa spettacolo», gloriosa trasmissione Rai di fine anni Settanta. Vi siete in qualche modo ispirati a quel modello?
Il punto di riferimento degli autori era esattamente quello. A me il progetto è stato proposto da Rai Cultura. Faccio cose con loro da un po’ di tempo, come il Premio Campiello. Me l’hanno proposto, mi è piaciuto, lo abbiamo fatto: è stato tutto abbastanza naturale. Devo dire che, nonostante tutti i cambi di governo, ho sempre interloquito con le stesse persone in Rai, in questi anni, ed è stato facile. C’è tuttavia una differenza importante rispetto all’Odeon degli anni Settanta: io che conduco sono il meno colto di tutti. Mi approccio con sguardo fanciullesco e curioso alle cose trattate. Faccio... lo studente.
Azzarderei un’altra differenza: «Odeon» andava in onda in prima serata. Vero è che oggi siamo in epoca di visione non lineare con le piattaforme di streaming e c’è Raiplay, ma avresti preferito andare in onda a quell’ora?
Se fai la stessa domanda agli autori di Tutto quanto fa cultura, probabilmente ti risponderanno di sì. Per conto mio ti posso dire che in questo particolare momento della mia vita essere fuori dalla gara dello share un po’ mi piace… Tutte le mie scelte, dal teatro al cinema d’autore, stanno andando in questa direzione… non ricorro il grande pubblico. Con X Factor ho vissuto la parabola della rincorsa alla pluralità, adesso sto cercando di capire cosa voglio veramente fare da grande.
Nella seconda puntata si parla di Renzo Arbore, guardi anche un po’ a quel modello televisivo?
Non so se ho modelli televisivi. La Tv è una cosa che mi è capitata. Il linguaggio neanche lo padroneggio completamente... Però devo dire che se c’è una cosa che adoro della televisione di Arbore è l’idea che la trasmissione debba avere un’atmosfera, un mood. Capiti su un programma di Arbore in qualsiasi punto e capisci che è un programma di Arbore.
Dopo La quattordicesima domenica del tempo ordinario un certo Pupi Avati ha detto che sei il miglior attore con cui lui abbia lavorato. Vai avanti col cinema, a questo punto?
Di sicuro c’è l’intenzione di fare il nuovo film di Pupi, stiamo trovando tutti gli incastri possibili per riuscirci. Non finirò mai di ringraziarlo: è stato uno degli incontri fondamentali della mia vita e, senza che me lo aspettassi, mi ha fatto un encomio che mette i brividi. Lui lo sa: quando chiama, ci sono sempre... Per il resto vediamo: in questo momento fare cinema è una sfida molto avvincente, complessa, più nuova... ti metti alla prova.
Più o meno divertente rispetto a fare musica?
Fare musica è liberatorio: le persone pagano per vedere te che sei te stesso… per certi versi è anche rilassante. Nel cinema pagano per vedere te che sei un altro. Al netto del confine metafisico tra te e il personaggio, la cosa che devi fare è metterti al servizio di una serie di elementi che non dipendono da te. È un grande lavoro collettivo in cui tu metti un mattoncino.
Parliamo dello Stato Sociale: è stato un 2023 ricco di cose belle, e penso all’album «Stupido Sexy Futuro» e al tour che ne è seguito, ma anche di cose dolorose, come la scomparsa di Matteo Romagnoli. Cosa vi lascia un anno così?
La perdita di Matteo è stata un colpo durissimo. In questo momento è un disastro… forse con la rielaborazione di tutto il nostro percorso insieme emergeranno solo le cose belle, ma per adesso posso dire che la mancanza è straziante, da ogni punto di vista. Credo che il tour sia stato esperienza intensa per chi l’ha visto: non abbiamo fatto nulla per nascondere il nostro dolore. Lo abbiamo comunicato. La verità è che siamo coi nervi a pezzi. C’è il tema professionale, certo: è la prima volta che ci tocca prendere delle decisioni senza Matteo. Ma è soltanto una parte di un discorso più ampio.
Torniamo alla domanda iniziale sull’indie: proviamo a fare l’appello di chi c’era dieci anni fa e chi c’è adesso?
Partiamo da Tommy (Tommaso Paradiso, ndr). Abbiamo fatto questo percorso assieme e... lui è diventato una popstar più velocemente degli altri, perché ha sempre amato profondamente l’idea di fare musica pop. Quando si suona c’è sempre qualcuno che pensa di essere più furbo degli altri, che si inventa le formulette. Lui invece ha avuto successo nel pop perché il pop lo ama davvero. A Edo (Calcutta, ndr) ho fatto l’in bocca al lupo oggi. Lui è già in un altro racconto: ha fatto capire che l’indie poteva essere un pezzo del mercato. Vivo una grande empatia per i trionfi dei Pinguini Tattici Nucleari . Si può dire che li conosciamo da sempre: venivano ai nostri concerti. Ed è bellissimo che, nell’epoca in cui si fa la gara a chi è più spaccone, arrivi la loro narrazione antieroica. Sui Management posso dire che Luca e Marco restano delle penne formidabili e che un varco si aprirà. E poi voglio citare Nicolò Carnesi che sta facendo un disco bellissimo.
Chiudendo il discorso: possiamo dire che l’indie ha vinto?
Per fortuna no. Altrimenti non avrebbe nient’altro di interessante da dire.
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