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L’Italia come Codogno? Ecco cosa accadrà alle imprese

Per garantire i servizi essenziali sarà garantita la filiera di approvvigionamento, dalla produzione alla logistica

di Giovanna Mancini

Coronavirus, ecco tutte le regole per spostarsi

4' di lettura

Tutta Italia chiusa (quasi) come i Comuni del Lodigiano nelle prime settimane dell’emergenza.

È stato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, a dire che «bisogna esportare il modello Codogno a tutta la Lombardia», sostenuto in questo dai 12 sindaci delle città capoluogo della regione. E nella serata di mercoledì 11 è arrivata la decisione ufficiale del presidente del Consiglio che ha annunciato che la misura sarà applicata a tutto il Paese a partire da giovedì 12.

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Ma applicare a un’intera regione il modello di misure restrittive che ha funzionato in un piccolo paese (dove i contagi si sono azzerati) è tutt’altro che semplice.

Non soltanto perché - restando alla Lombardia - significa fermare un territorio che produce circa la metà del Pil nazionale. Ma anche perché, all’interno di questo territorio, occorre comunque garantire le attività produttive, logistiche e di trasporto e le forniture necessarie al mantenimento dei servizi di prima necessità garantiti ai cittadini, dai generi alimentari ai medicinali, dalla corrente elettrica alla sicurezza e alla mobilità essenziale.
Vediamo quindi quali sono le criticità da superare.

I sindaci lombardi e il governatore Fontana hanno proposto al premier Conte «ulteriori misure restrittive per il contenimento della diffusione del Coronavirus», chiedendo la chiusura di tutte le attività commerciali, a eccezione di quelle essenziali (negozi alimentari e di prima necessità, supermercati e farmacie, tabaccai, edicole), oltre alla riduzione al minimo dei trasporti pubblici e delle attività produttive.

Garantire le forniture
Ma lo stesso Fontana mercoledì mattina ha specificato, in un’intervista a Italia7Gold, che andranno comunque garantite «tutte le attività essenziali per continuare la vita ordinaria, dalla catena alimentare all’energia e ai rifiuti, oltre alle attività imprenditoriali collegate a catene di fornitura internazionali da cui non è possibile distaccarsi, altrimenti i danni sarebbero eccessivi».

Il mondo della distribuzione, piccola o grande che sia, è infatti solo l’ultimo anello di una filiera che, dai campi e dalle fabbriche, arriva sugli scaffali, perciò punti vendita e supermercati, così come le farmacie, per funzionare, necessitano che sia garantito l’approvvigionamento dei beni essenziali. Da qui l’accordo tra Fontana e Confindustria Lombardia per mettere la filiera nelle condizioni di continuare a funzionare. Occorre infatti trovare un equilibrio, spiegano da Federdistribuzione, tra la tutela dei consumatori nei negozi e quella dei lavoratori della filiera, che deve continuare a produrre.

Per garantire la fornitura dei beni di prima necessità a negozi e supermercati, nonché alle stesse farmacie e agli ospedali, queste merci devono continuare a viaggiare, ma soprattutto a essere prodotte. Così come è necessario garantire gli spostamenti del personale impiegato in queste attività e in quelle ospedaliere, oltre alla fornitura di luce, gas e acqua perché tutto questo possa funzionare. Da qui la necessità di mantenere almeno in minima parte un servizio di trasporto pubblico e di produzione industriale.

Trasporti e logistica
Inoltre, come fanno notare da Fai-Conftrasporto, la chiusura anche delle stazioni di servizio recherebbe un danno agli autotrasportatori il cui operato – in questa catena di servizi ridotta all’osso – è fondamentale. Non solo i camionisti non avrebbero un luogo dove sostare per riposarsi e mangiare, ma nemmeno servizi igienici a disposizione per rispettare le regole sanitarie di base indicate proprio per contenere la diffusione del virus.

«Se si fermasse la logistica lombarda ci sarebbero fondamentali ripercussioni non solo nella regione, ma in tutta Italia - dice Betty Schiavone, presidente regionale di Confetra - giacché la Lombardia è il polo logistico d’Italia. Molte imprese hanno infatti qui la loro sede e i loro principali siti distributivi. Naturalmente, soprattutto le imprese più strutturate, hanno procedure di sicurezza per cercare di superare una chiusura degli impianti principali, ma questo produrrebbe comunque disagi, oltreché ripercussioni economiche».

I transiti delle merci sono consentiti, ma se le merci sono nei magazzini dipenderà dalle restrizioni del decreto e dunque si capirà meglio giovedì 12 come farle uscire. Inoltre, aggiunge Schiavone, «non so se le imprese riusciranno tutte a riorganizzare la distribuzione, perché per molti i magazzini centrali sono in Lombardia».

Le attività produttive
Tutte queste criticità sono ben chiare ai sindaci e al governatore Fontana, che, infatti, hanno proposto «la chiusura degli uffici e dei servizi pubblici, salvo quelli che adottano la modalità di lavoro Smart Working e salvo il mantenimento delle funzioni essenziali, a titolo di esempio: servizi sociali, raccolta rifiuti, polizia locale», nonché «la chiusura delle attività professionali e di impresa che non facciano ricorso integrale allo Smart Working, salvo le attività ritenute fondamentali per la produzione di beni e servizi primari e le aziende a ciclo continuo e relativa filiera, purché adottino rigorosi controlli e presidi sanitari».

Tra queste attività non rientrano soltanto quelle che producono beni di prima necessità, come fa notare Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia: «Non possiamo fermare le filiere globali della produzione – osserva -. Penso ad esempio alle aziende che producono componenti per l’automotive, vincolate a una catena di fornitura internazionale: se perdono gli ordini in corso rischiano di non ottenerne mai più nemmeno a emergenza conclusa». Le imprese lombarde si sono date un codice di autoregolamentazione, sospendendo le attività delle aziende che non sono in grado di soddisfare i criteri di sicurezza. Ma fermarsi «non si può».

Dello stesso avviso la Coldiretti: al di là della produzione dei beni di prima necessità, le aziende agricole non possono fermarsi perché, spiega il presidente di Coldiretti Lombardia Paolo Voltini, «gli animali devono essere accuditi e nutriti, così come devono continuare le operazioni di preparazione dei terreni per le semine».

Per approfondire:
Coronavirus, Confindustria Lombardia: «Autoregolamentazione e continuità produttiva»
Lombardia modello Codogno: chiusi uffici, negozi e alberghi, ecco la richiesta della regione al governo. Fontana: «Oggi 1500 nuovi casi»

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