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Long Covid meno probabile con Omicron rispetto a Delta

Studio su Lancet indica che la probabilità è tra il 24 e il 50% in meno. Ma il sottotipo BA5 è molto contagioso, quindi i numeri assoluti restano comunque preoccupanti. E le cause sono ancora un mistero

di Francesca Cerati

(MohamadFaizal - stock.adobe.com)

3' di lettura

La probabilità di sviluppare il Long Covid con Omicron è minore rispetto alla variante Delta: dal 24 al 50% in meno. È quanto emerge da una nuova analisi britannica pubblicata su Lancet che ha confrontato oltre 56mila pazienti (da dicembre 2021 a marzo 2022) con Omicron rispetto a oltre 41mila pazienti con Delta (da giugno a novembre 2021).

I risultati: il 4,4% dei casi Omicron ha sviluppato il Covid lungo contro l 10,8% dei casi Delta. Detto questo, poichè l’ultima variante è molto più contagiosa, i numeri assoluti restano comunque preoccupanti perchè riguardano un gran numero di persone, al punto che nei prossimi anni potremmo trovarci di fronte a un’ondata di malattie croniche che si manifestano con difficoltà respiratorie, stanchezza opprimente, insufficienza renale o coaguli di sangue mortali. Una situazione che gli esperti hanno già definito un ”evento disabilitante di massa” di proporizioni storiche.

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Anche uno studio dei Cdc, pubblicata il mese scorso, ha concluso che almeno uno malato di Covid su 5 potrebbe avere complicazioni post-malattia. E già lo scorso novembre i ricercatori dell’Università del Michigan, basandosi sulla revisione di 40 precedenti studi condotti in 17 Paesi, avevano stimato che oltre il 40% dei sopravvissuti al Covid in tutto il mondo abbia avuto o abbia effetti persistenti dopo la malattia, prevalenza che aumenta al 57% tra i ricoverati. Da qui, i ricercatori inglesi stanno lanciando uno degli studi clinici tra i più grandi al mondo per testare in modo randomizzato e statisticamente significativo le potenziali terapie per il Long Covid.

E in Italia? Proprio in questi giorni saranno presentati i risultati definitivi dello studio Gi-Covcid19 in occasione del Congresso internazionale Ibs Days 2022 di Bologna, ma dai dati preliminari già emerge che oltre mezzo milione di persone in Italia nei prossimi anni potrebbe necessitare di cure per patologie gastroenterologiche come conseguenza del Covid. L’analisi - promossa e coordinata dalla Medicina Interna e Gastroenterologia dell’Irccs Policlinico Sant’Orsola di Bologna diretta da Giovanni Barbara - ha incluso più di duemila pazienti ricoverati con Covid-19 in 36 centri di 12 nazioni europee.

Ma cosa c’è alla base di questo ampio ventaglio di sintomi invalidanti? È quello che si sforzano di comprendere tre ricercatori che pur seguendo teorie diverse condividono lo stesso obiettivo: decifrare le cause del Covid lungo e capire come trattarlo. Uno di loro è il pediatra Danilo Buonsenso del Policlinico Gemelli di Roma, che sta utilizzando una sofisticata tecnica di imaging medico (Spect-Ct) per comprendere meglio il ruolo dei coaguli di sangue. Sospetta, infatti, che i microcoaguli o danni cronici al rivestimento dei vasi sanguigni possano intasare il flusso sanguigno, con effetti disastrosi dal cervello alle articolazioni. «In alcuni pazienti abbiamo aree specifiche in cui il flusso sanguigno non arriva oppure è ridotto» ha detto su Science Buonsenso, che ha scansionato i polmoni di 11 giovani affetti da una grave forma di Long Covid, ma aveva già pubblicato la prima prova su una ragazza di 14 anni nel luglio del 2021 su The Lancet Child & Adolescent Health.

Nel frattempo, negli Usa, la microbiologa Amy Proal segue una seconda teoria e cioè che il coronavirus persista nel corpo, anche dopo che l’infezione acuta è passata. In Australia, invece, secondo l’immunologa Chansavath Phetsouphanh dell’Università del New South Wales di Sydney, la terza via riguarda il fatto che il sistema immunitario va in tilt, determinando un’infiammazione cronica. Districare la complessa sindrome, con una definizione ancora in evoluzione, resta un processo laborioso e graduale. La parte difficile sarà dimostrare che ognuno di questi elementi, da solo o in combinazione, sia effettivamente la causa della molteplice sintomatologia post-Covid. Tutti concordano però sul fatto che la causa “solista” è improbabile. Il virus persistente, ad esempio, potrebbe attaccare il sistema circolatorio, innescando coaguli di sangue o infiammazioni croniche. «Lo vedo come un triangolo - dice Buonsenso - con ogni trigger che potenzialmente spiega, o addirittura amplifica, gli altri».

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