SPESA PUBBLICA

Lotta agli sprechi e impact investing

La sfida del movimento dell’impact economy: usare la finanza a impatto sociale per raggiungere obiettivi positivi e misurabili

di Giovanna Melandri*

4' di lettura

La lotta agli sprechi è tornata al centro della contesa politica nazionale. Sembra, infatti, che il destino della legislatura sia appeso al referendum sul taglio dei parlamentari, oltre che alle fatidiche elezioni regionali del 26 gennaio. Con il rischio di finire di nuovo nella botola delle elezioni anticipate. Ennesimo colpo alla stabilità politica ed economica del Paese. È davvero questa la strada per migliorare l'efficacia della spesa pubblica nazionale? O possiamo ambire, anche in Italia, a liberare un dibattito altro e alto su una razionalizzazione delle risorse fondata sulla cooperazione tra pubblico e privato, sui risultati e sulla loro misurazione e sul raggiungimento degli obiettivi?

Proprio su questo si gioca la sfida del movimento dell'impact economy, riunito in queste ore a Torino per una importante convention, alla presenza di economisti del rango di Marianna Mazzucato e Raghuram Rajan. Usare la finanza ad impatto sociale per raggiungere obiettivi positivi e misurabili: è questo il goal del metodo “pay by result”, che la rete italiana dell'impact investing (riunita nell'associazione Social Impact Agenda per l'Italia) propone e struttura da qualche anno.

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Una sorta di alleanza strategica tra investitori pubblici e privati (come Cassa Depositi e Prestiti, le principali banche italiane, Enasarco, Ania, fondazione con il Sud, solo per fare alcuni esempi) con un unico scopo: supportare e innovare il nostro sistema di Welfare, promuovendo progetti che generino intenzionalmente impatto sociale e ambientale positivo e che vengano sottoposti a un costante meccanismo di valutazione di questo impatto, cioè di misurazione del risultato e verifica dell'efficacia delle risorse spese.

In Inghilterra e in Portogallo, Germania, Belgio, Finlandia, Francia e in molti altri paesi del mondo la scommessa funziona da anni grazie all'uso di strumenti di investimento di nuova generazione che sistematizzano la triangolazione tra attore pubblico, investitori privati e imprese sociali o enti del Terzo Settore. I modelli nel mondo sono diversi, ma tutti finalizzati a far crescere l'ecosistema dell'impact investment: dai contract à impact social francesi, all'outcome fund portoghese, ai social impact bonds inglesi e dei paesi nordici.

L'Italia, al momento, su questa cartina geografica non c'è. E non perché il settore privato si sia tirato indietro, anzi. I grandi player economici nazionali sono in prima linea nel chiedere l'attivazione di nuovi strumenti. Manca, piuttosto, la volontà politica di investire davvero nel nuovo modello.

Ho incontrato negli scorsi mesi, come portavoce del movimento impact italiano, assieme a Ronald Cohen (il presidente del Global Steering Group for Impact Investment, il network mondiale della finanza impact), il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'economia e delle finanze Roberto Gualtieri e il commissario europeo Paolo Gentiloni per porre ufficialmente la questione. Penso, infatti, che sia giunto finalmente il momento di scrivere una nuova pagina nella storia delle politiche pubbliche italiane. In cui strutturare la collaborazione tra pubblico e privato, come suggeriva pochi giorni fa anche il viceministro Antonio Misiani. Recuperando risorse aggiuntive per sostenere un circolo virtuoso di “welfare mix” capace di attivare un'economia socialmente ed ambientalmente sostenibile e responsabile. Mettendo al centro i risultati (pay-by-results ) anche, e direi soprattutto, nell'erogazione di risorse pubbliche. Anche quando parliamo di reddito di cittadinanza, ad esempio, è possibile capire quali obiettivi di reintegrazione lavorativa si vogliono produrre? E misurarli, anche per perfezionare lo strumento, piuttosto che ridurre questa politica a mera erogazione di denaro a pioggia?

Il campo europeo promette di investire una fetta importante del nuovo corso politico sulla scommessa impact, sperimentando anche strumenti come gli outcome funds, necessari a moltiplicare i social impact bonds o i contractes sociale. Sta al premier Conte, alla sua squadra, ai partiti di governo, decidere che ruolo giocare in questa sfida. Se restare sugli spalti, se pure in indiscutibile attento ascolto dei bisogno del mondo impact. O posizionare l'Italia in testa alla fila di chi scommette su questo nuovo schema. Prendendo iniziativa, voce, protagonismo. Innovando le politiche e coordinando gli investimenti, nel merito e nel metodo, usando le leve dell'impatto positivo e della valutazione e della misurazione. Insomma, determinando la partita in termini di contrasto agli sprechi ed efficacia dei risultati.

Spero che ci siano ancora i termini, in questa legislatura piena di promesse, per coltivare la seconda ambizione, a partire dalle decisioni legate alla Legge di Stabilità e alla fase che si apre ora nell'implementazione delle linee di finanziamento decise, come green new deal, social housing, infrastrutture per il diritto allo studio, politiche a favore delle persone con disabilità.

Va, insomma, trovato un modo per vincolare una parte della spesa sociale al “pay by result”, per generare risultati positivi e misurabili in ambiti su cui i cittadini sono stanchi di aspettare. La credibilità del Governo, di ogni Governo, passa tutta da qui. E l'antidoto alla sfiducia e al populismo anche. È per questo che la finanza a impatto sociale può essere davvero la strada per passare dalla stagione delle enunciazioni a quella dei risultati. Gli italiani non aspettano altro.

* Presidente di Human Foundation e di Social Impact Agenda per l'Italia

Ps: è stato corretto il nome di Marianna Mazzuccato

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