Parigi /sfilate uomo

Louis Vuitton celebra la gaiezza di Virgil Abloh, Y-Project trascinante

Domina l’estetica della frammentazione anche per il format delle presentazioni, mix di fisico e digitale - Issey Miyake emoziona

di Angelo Flaccavento

2' di lettura

La moda uomo che si sta vedendo in questi giorni a Parigi sembra vorticare in ogni direzione, e non solo per il coesistere inevitabile di formato fisico e digitale. Domina una estetica della incoerenza e della frammentazione, che se da un lato risponde al pulviscolo inafferrabile dell’oggi, dall’altro confonde per la sostanziale assenza di un messaggio da afferrare. Non che la coerenza sia automaticamente degna di gloria, essendo spesso un sostituto di rigidità, ma quel che manca, adesso e nella maggior parte dei casi, è una minima idea di coesione.

Da Louis Vuitton il continuo deragliare è inquadrato dentro l’orizzonte del sogno. La collezione si intitola Louis’ Dreamhouse, ed è l’ultima prova, postuma, del compianto Virgil Abloh, scomparso lo scorso 28 novembre. Una prova portata a termine dal team, e segnata da una gaiezza e leggerezza di spirito rinfrancanti: colori tenui, forme leggiadre, e un finale bianco con tanto di angelo fin troppo zuccherino.

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L’atmosfera dello show è infantile e surreale: in un mare di azzurro, sopra i tetti delle casette di Asnières - alma mater di Vuitton - par di stare in cielo. La sensazione onirica è aumentata dagli intermezzi ballati che ritmano la sfilata, e dal succedersi improvviso di silhouette grafiche e nette, superfici tappezzeria, pragmatismi urbani e una marea di tacchi. Il campionamento di segni e momenti chiave della cultura ed estetica nera è evidente, ma l’approccio da DJ di Abloh è elevato all’ennesima, in quello che sostanzialmente è un bell’esercizio di stile, una cornice accattivante che farà vendere molti accessori.

Glenn Martens, direttore creativo di Y-Project, uno dei marchi più dinamici e trascinanti emersi a Parigi nell’ultimo decennio, ha la capacità, unica e sorprendente, di unire il gusto del caos al rigore dell’architettura, lo sfrenato al rigidamente controllato.

Disegna abiti che si attorcigliano, sfaldano, plasmano intorno al corpo, e che possono essere indossati in maniere sempre diverse e personali: creazioni magmatiche cui sottende uno studio intelligente della forma. In questo senso Y-Project è un unicum che cresce in uno spazio tutto suo, in una nicchia che esteticamente è fatta di maschilità sbruffona e femminilità predace.

Di quest’ultima, tra pochi giorni, si vedrà una nuova interpretazione nell’attesa collaborazione tra Glenn Martens e Jean Paul Gaultier.

È caotico e derivativo il debutto in passerella del giovane progetto Egonlab, mentre da Bluemarble il guazzabuglio di riferimenti sprizza una vitale originalità. Rains aspira ad essere una sorta di Moncler tecno-alternativo, in un turbinio di piumini e gomme da day after o party selvaggio.

In alcune sacche della fashion week, però, l’espressione è tesa, concisa, e per questo perforante. Sono le curve e le costruzioni aeree di Homme Plissè Issey Miyake, nel quale la ricerca ingegneristica della costruzione diventa leggerezza pura ed emozione del capo da indossare. Sono i volumi giganti e i tocchi di delicatezza domestica del capace Hed Mayner, classicista sui generis da tenere d’occhio.

Sono il nero e i dandysmi per poeti maledetti di ogni età del sempre lirico e abrasivo Yohji Yamamoto, che più passano gli anni, più si ripete, sorprendendo ogni volta.

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