Lubiana, indagine sulla conoscenza condivisa
La biennale di design di Lubiana, la più longeva d’Europa, è dedicata quest’anno a un tema tra i più delicati del nostro tempo: l’informazione diffusa e collettiva, che dà il titolo alla manifestazione: «Common Knowledge»
di Marco Sammicheli
3' di lettura
La biennale di design di Lubiana è la più longeva d’Europa. Fondata nel 1963 ha saputo raccontare quasi tutte le trasformazioni della disciplina. Partita dai principi dell’industrializzazione e del modernismo è approdata alle diramazioni di una cultura progettuale che tocca quasi tutte le manifestazioni dell’agire umano.
Dedicata all’informazione
La ventiseiesima edizione (fino al 9 febbraio) è a cura di Thomas Geisler e Aline Lara Rezende. Si concentra sul tema dell’informazione, aspetto tra i più delicati del nostro tempo che i curatori hanno deciso di affrontare con progetti elaborati da designer di varia estrazione in dialogo con la comunità locale. Il titolo Common Knowledge pone immediatamente la questione sulla conoscenza condivisa e collettiva, su come essa istruisca i percorsi di apprendimento, le idee, gli umori, le convinzioni fino a plasmare un credo, un programma, una linea editoriale, una versione dei fatti.
Lo strumento individuato per guidare la ricerca è stato il diagramma piramidale di Russell L. Ackoff. Elaborato nel 1989 prevede l’organizzazione e la lettura del fenomeno dell’information crisis attraverso quattro stadi: dai dati all’informazione per poi giungere alla conoscenza e terminare nell’acquisizione di competenza. Il diagramma è conosciuto come DIKW, dalle iniziali dei termini inglesi che descrivono i diversi passaggi di stato (data, information, knowledge, wisdom).
Questa impostazione ha influito sull’impianto espositivo della biennale che al Museo di Architettura e Design MAO di Lubiana si presenta con una mostra tematica dalle diverse traiettorie. Poi ci sono sei sedi distaccate: la redazione del quotidiano Delo, la biblioteca nazionale, il giardino botanico della capitale slovena, un museo d’arte contemporanea, l’università di Lubiana e una casa di riposo. Qui si sono svolte le ricerche per indagare luoghi e comunità in cui l’informazione giace, si crea, si divulga e si manipola.
Le sedi della biennale rappresentano i luoghi tradizionali dell’informazione. Qui i designer e i ricercatori invitati sono intervenuti con pratiche partecipative e metodologie alternative. L’obiettivo era testare nuove forme di informazione e sperimentare la diffusione della conoscenza con tecnologie che spingessero le istituzioni verso percorsi formativi e informativi inconsueti, meno paradigmatici e aperti.
Così Commonplace Studio ha progettato un atlante visivo e un motore di ricerca che accoppia record librari attraverso combinazioni insolite. Uno strumento che si va ad aggiungere al tradizionale sistema di consultazione della biblioteca.
Paolo Patelli ha immaginato per il museo d’arte +MSUM un archivio digitale dedicato alla danza. È accessibile attraverso gesti la cui coreografia è codificata in comandi connessi a un database.
Course K ha invece riformulato un approccio pedagogico rinforzando la necessità di vivere le infrastrutture formative come aule universitarie e laboratori insieme alle piattaforme on line.
Kathrina Dankl ha guardato alle case di riposo come accademie di vita vissuta dove compiere studi etnografici che valorizzassero in contenuti dedicati a nuovi pubblici i saperi dei pazienti.
Il giardino botanico di Lubiana è diventato un acceleratore di relazioni tra flora, fauna e cittadini per mano del collettivo Futurefarmers.
Bureau d’études ha sfidato la credibilità dei media minacciata dalle fake news e sollecitata dai social per ipotizzare forme di micro informazione basate sulla prossimità e sulla pluralità delle fonti piuttosto che sull’ossessione per la velocità del broadcasting.
Infine la mostra al museo MAO ha raccolto tutti questi aspetti e ha il compito di sintetizzare i temi con le opere di designer della comunicazione come Jamie Serra e Michael Beirut, Giorgia Lupi e Francesco Franchi, di maestri come Otto Neurath e Marshall McLuhan, di progettiste che rifuggono categorie classificatorie come Neri Oxman e Amy Franceschini. Il catalogo e l’identità visiva della biennale sono un progetto del giovane studio sloveno Ljudje e giocano provocatoriamente coi colori di Google.
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