Tartufo, così il design corre in aiuto per esaltare l'aroma perfetto
Uno scrigno in porcellana di Limoges, il guanto firmato Patricia Urquiola e l'affettatartufo per la lamellatura di precisione
di Fernanda Roggero
4' di lettura
Cosa non si fa per il tartufo. Negli anni sono approdati ad Alba artisti di fama mondiale, da Anselm Kiefer a Marina Abramovic. Designer importanti hanno messo la loro firma su oggetti dedicati. Scrittori di culto hanno tenuto lectio magistralis (ultimo, un paio di settimane fa, Haruki Murakami).
Goffi, grigi, insopportabilmente puzzolenti per alcuni, pezzi unici come diamanti, delicati e armonici per altri. Non esistono mezze misure: il tartufo o lo si ama o lo si odia. Fatto sta che dal 21 settembre, giorno ufficiale di inizio della raccolta, al 21 gennaio, quando la giostra si ferma, ad Alba gira tutto intorno a lui. Un tourbillon di iniziative, degustazioni, mercato, convegni, attività didattiche.
Le iniziative con un solo protagonista: il tartufo
Un carosello di eventi per valorizzare un prodotto pregiato che genera in tutta Italia un giro d’affari da mezzo miliardo. Alba in queste settimane è punto d’incontro di disparate comitive: critici d’arte, gourmet, botanici. C’è chi va alla Chiesa di San Domenico a vedere l’opera collettiva di Pinot e Pier Giorgio Gallizio, Asger Jorn, Constant, Piero Simondo, Jan Kotik, curata dal museo di arte contemporanea del Castello di Rivoli. Opere importanti e una corposa raccolta di lettere, giornali, documenti che raccontano un momento vivissimo dell’Arte povera. E dal 18 novembre sarà anche possibile vedere la Tavola Lucana, attribuita a Leonardo.
Gruppi di naturalisti invece seguono le tracce dei trifulau nei boschi più votati alla ricerca. «La cura e il mantenimento delle tartufaie naturali è essenziale - spiega Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo - come tutti sanno il tartufo non è un tubero ma un fungo ipogeo, vive in simbiosi con la pianta. Non si può coltivare, ma si possono eseguire pratiche agronomiche sui terreni per agevolarne la crescita. In Piemonte i 4mila cercatori certificati pagano una tassa sulla raccolta che in parte è utilizzata per attività ambientali e anche i proprietari di terreni con querce, tigli, pioppi o salici che si impegnano a non abbattere gli alberi ricevono un contributo: ad oggi abbiamo poco più di 20mila piante “certificate”».
Le quotazioni e come fare la scelta giusta
Ma naturalmente la maggior parte di chi raggiunge in queste settimane le colline protette dall’Unesco ha come scopo principale il gusto. Godersi il Magnatum Pico a tavola, con una generosa grattata, o portasene a casa qualcuno, meglio se con il bollino di garanzia. Ad oggi i prezzi si aggirano intorno a 300 euro l’etto. Chiunque acquisti al Mercato Mondiale del tartufo bianco, nel centro della città piemontese, può chiedere una verifica di congruità a uno dei giudici del Centro nazionale Studi Tartufo. Come scegliere quello giusto? «Innanzi tutto la regola aurea - afferma Carbone - ricordarsi che stai comprando un profumo: l’emozione olfattiva è essenziale. Non è migliore il tartufo con il profumo più intenso ma quello con l’armonia più delicata. La consistenza deve essere corretta, il tartufo non deve essere molle o gommoso. Il colore non deve ingannare, non c’è correlazione tra colore e aroma».
Ogni anno, puntuale, si riaccende però la polemica sulle provenienze. Impossibile, dicono in molti, che tutto il tartufo bianco d’Alba provenga effettivamente dalle colline langarole. «Il valore sta soprattutto nel patrimonio culturale della filiera - spiega Carbone - se il cercatore è professionale immette immediatamente il tartufo sul mercato, lo custodisce al fresco e con il giusto tasso di umidità: la filiera breve e corretta è garanzia di qualità». E questo vale per tutti i tartufi italiani, da Alba ad Acqualagna o San Miniato, e per tutti i 15mila cercatori attivi. Tanto è vero che in Parlamento sono in discussione alcuni disegni di legge che mirano a creare una denominazione unica in modo da salvaguardare e valorizzare il prodotto italiano. Anche se è giusto dire che non sempre i tartufi esteri sono una delusione, «in Istria, ad esempio, c’è competenza diffusa», conferma il direttore del Centro Studi.
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Le ricette dello chef stellato
Ma in fondo al vero appassionato interessa solo quel che arriva nel piatto. Che sia nel pieno rispetto della tradizione - sui tajarin da 40 tuorli, a coprire come un velo la fonduta o lamellato sull’uovo - o in proposte più sperimentali e coraggiose. Michelangelo Mammoliti, una stella Michelin alla Madernassa di Guarene, lo propone in versioni decisamente non scontate. «Sono di qui, amo da sempre il tartufo - racconta - mi piace inserirlo nei miei piatti. In un weekend ne uso anche due chili, e i miei preferiti sono le “piattine”, quelli che si raccolgono vicino ai tigli in questa zona, profumatissimi».
Alla Madernassa il tartufo accompagna le animelle alla carbonara con tagliatelle di seppia, la capasanta arrostita con infusione di radice di prezzemolo e zucca profumata agli agrumi, il foie gras pochè nel barbaresco. E l’uovo, naturalmente. Un fine velo di albume con tuorlo confit in olio di prosciutto di Cuneo e una royale di midollo (il piatto si chiama “Attesa d’oro”).
La lamellatura è importante. Le fettine devono essere sottili e omogenee. Per questo anche un uso casalingo imporrebbe l’utilizzo di un affettatartufi. Nel caso - improbabile - che il prezioso Magnatum non venga utilizzato in una sola volta ricordarsi la regola d’oro: conservare in frigo dentro un vasetto di vetro. Mai e poi mai nel riso, che si mangerebbe tutto l’aroma.
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