Guerra in Ucraina

I big del lusso chiudono i loro negozi in Russia. La Camera della moda: «Le chiusure non sono sanzioni»

Da Lvmh a Kering, da Hermès a Chanel, nel giro di poche ore i grandi gruppi del lusso globale hanno condiviso la stessa decisione: boutique serrate a tempo indeterminato

di Chiara Beghelli

Aggiornato il 10 marzo alle ore 13:10

Poliziotti russi davanti a una boutique Louis Vuitton a Mosca lo scorso anno

4' di lettura

I big dell’industria mondiale del lusso hanno deciso di chiudere i loro negozi in Russia: Lvmh, il più importante con 76 maison e 64,2 miliardi euro nel 2021, a partire da venerdì 4 marzo ha sbarrato gli ingressi delle sue 124 boutique. La notizia è stata riportata da Wwd, che l’ha registrata da un portavoce del gruppo. Lvmh ha comunicato che continuerà in ogni caso a pagare gli stipendi ai suoi 3.500 dipendenti nel Paese. Lunedì è stata annunciata anche la chiusura dei negozi e la sospensione dell’e-commerce di Sephora, la catena di cosmetica e profumi del gruppo.

Chiusi i negozi, interrotto l’e-commerce

Anche Kering, al quale fra gli altri fanno capo Gucci, Balenciaga e Bottega Veneta, ha preso la stessa decisione, nella tarda serata di venerdì. Sabato è stata invece la volta di Prada, che ha postato su LinkedIn la sua decisione: «Da oggi il Gruppo Prada sospende le attività retail in Russia. La nostra preoccupazione principale è per tutti i colleghi e le loro famiglie colpiti dalla tragedia in Ucraina ai quali continueremo a garantire supporto. Il Gruppo continuerà a monitorare gli sviluppi», si legge nella nota dell’azienda milanese.

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Stessa strategia per Hermès, prima azienda ad aver intrapreso questa strada e che ha tre boutique a Mosca, e da Richemont, gruppo svizzero a cui fanno capo marchi come Cartier, Montblanc e Buccellati. Chanel ha affidato a un post su LinkedIn la medesima decisione: «Date le crescenti preoccupazioni per la situazione, la crescente incertezza e la complessità per operare, Chanel ha deciso di sospendere temporaneamente tutte le sue attività in Russia. Non spediremo più in Russia, chiuderemo le nostre boutique e abbiamo già sospeso l’e-commerce», si legge.

«È con molto rimpianto che abbiamo preso la decisione di chiudere temporaneamente i nostri negozi in Russia e di fermare tutte le nostre attività commerciali a partire dalla serata del 4 marzo», recita un post pubblicato nel profilo LinkedIn di Hermès, che non ha rilasciato altri dettagli su tale strategia. Hermès, a quanto riporta Reuters, aveva in programma l’apertura di una boutique a San Pietroburgo entro quest’anno. Richemont ha invece circa 12 negozi a gestione diretta, perlopiù a Mosca, e ha fermato le sue attività a partire dal 3 marzo.

Acquisti di gioielli come beni rifugio nei primi giorni di conflitto

In una recente intervista a Bloomberg, Jean-Christophe Babin, ceo Bulgari (maison che fa capo a Lvmh) aveva reso noto che le vendite in Russia erano leggermente aumentate nei primi giorni del conflitto - a conferma dell’attrattività della gioielleria come bene rifugio, tendenza che si era già ben delineata nei due anni di pandemia -, e che probabilmente il rafforzamento del rublo potrebbe portare a una revisione verso l’alto dei prezzi.

Il 2 marzo il gruppo guidato da Bernard Arnault aveva comunicato una donazione di cinque milioni di dollari alla Croce Rossa Internazionale per supportare le vittime del conflitto, oltre ad aver attivato una campagna di raccolta fondi tramite i suoi marchi.

Il fast fashion unito nelle serrate, Uniqlo cambia idea e chiude

Anche Nike ha deciso di chiudere tutti i suoi 116 negozi, come il gigante svedese del fast fashion H&M e il gruppo spagnolo Inditex, di cui Zara è il marchio più importante. Burberry, invece, dopo aver annunciato giovedì di voler limitarsi a fermare il riassortimento dei suoi negozi in Russia a causa di «problemi logistici», ha deciso di chiudere i suoi tre negozi nel Paese. Nike e Levi Strauss hanno sospeso ogni operazione in Russia, come il marchio tedesco Hugo Boss: il ceo Daniel Grieder ha affermato a Bloomberg Tv che la Russia e l’Ucraina generano il 3% del suo fatturato.

Dopo aver annunciato che i suoi negozi sarebbero restati aperti, il gruppo giapponese Fast Retailing ha cambiato idea: i 50 negozi Uniqlo chiudono. «L’abbigliamento è necessario alla vita. Il popolo russo ha lo stesso diritto di vivere di ogni altro», aveva detto il ceo Tadashi Yanai in un’email pubblicata da Nikkei. Stessa linea per il gruppo Swatch, che ha fermato le spedizioni in Russia ma mantiene aperte le boutique dei suoi marchi, Longines, Harry Winston e Omega a Mosca e a San Pietroburgo.

Anche Italia Independent, il brand di eyewear fondato e presieduto da Lapo Elkann e che distribuisce in licenza anche CR7 eyewear e Hublot eyewear, ha comunicato di aver sospeso tutte le sue attività in Russia, che erano state inaugurate lo scorso gennaio con solide prospettive di crescita: «La decisione di sospendere qualsiasi relazione commerciale con la Russia deriva dal volere dare concretezza alla vicinanza, mia personale e di Italia Independent, al popolo ucraino - ha dichiarato Lapo Elkann -. Inoltre, con Fondazione Laps, organizzazione non-profit che ho fondato e di cui sono presidente, mi sono già attivato per fornire assistenza e supporto ai rifugiati costretti per via del conflitto ad abbandonare il proprio Paese. Spero dal profondo del cuore che possa presto ritornare la Pace».

La Camera della Moda: «Le chiusure non sono imposte dalle sanzioni»

Di fronte a questo serrato susseguirsi di comunicazioni, la Camera Nazionale della Moda Italiana ha sottolineato che le chiusure sono atti volontari e non sono previste nell’ambito delle sanzioni comminate alla Russia: «La chiusura temporanea dei negozi retail in Russia non è prevista dalle norme sanzionatorie attualmente in vigore in Europa, è una scelta volontaria che è stata presa da molti brand nazionali ed internazionali che dispongono di una rete di distribuzione retail diretta - si legge nella nota diffusa dall’associazione -. Ricordiamo però che molti brand vendono le collezioni in Russia attraverso distributori o concessionari e non sono nella possibilità anche dal punto di vista contrattuale, di chiudere gli spazi di vendita in stagione, avendo già consegnato negli scorsi mesi la collezione primavera/estate».

Secondo un report pubblicato oggi da Bain & Co., il peso della Russia sul mercato mondiale del lusso è del 2-3%, e al momento la valutazione dell’impatto sull’industria è ancora complessa da definire.

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