M5S, cresce la fronda anti Di Maio e l’ala pro Conte si rafforza
Pentastellati soli al voto in Emilia Romagna: alleanze con liste civiche. Ruocco a Radio24: serve un passo indietro dalla guida solitaria
di Manuela Perrone
3' di lettura
Provato dalla disfatta in Umbria, il Movimento 5 Stelle si avvita e si interroga sul suo destino. Le assemblee dei gruppi parlamentari, riunite martedì 29 sia alla Camera sia al Senato, diventano lo sfogatoio dei malesseri: una lunga lista di capi d’accusa per il leader Luigi Di Maio, da ultimo lo stop non concordato con gli eletti alle alleanze locali con il Pd.
Anche se sempre martedì, dopo l’incontro con i parlamentari e i consiglieri delle due Regioni prossime al voto - Emilia Romagna e Calabria - la linea del capo politico è stata promossa. «Siamo tutti concordi nel presentarci da soli, le uniche alleanze che valuteremo saranno quelle con le liste civiche», riferisce la deputata reggiana Maria Edera Spadoni.
Eppure i malesseri si sprecano. Con una decina di deputati, capitanati da Giorgio Trizzino, che a Montecitorio presenta un documento per chiedere una modifica dello statuto che ne renda contendibile il ruolo di capo politico. Con la presidente della commissione Finanze, Carla Ruocco, che ai microfoni di Radio 24 chiede «un passo indietro dalla guida solitaria del M5S». E con il senatore Mario Michele Giarrusso, da mesi furioso contro i Cinque Stelle di Governo, che attacca: «Visto il tracollo, Di Maio dovrebbe lasciare tutti i suoi incarichi».
A riprova che i guai non vengono mai da soli, sul territorio si aprono faglie come piaghe. Si dimette dopo 15 mesi proprio in Emilia la sindaca pentastellata di Imola, Manuela Sangiorgi, lasciando agli atti una sorta di necrologio: «Il M5S non esiste più, è morto con Gianroberto Casaleggio». In Sicilia la procura di Palermo chiede condanne tra un anno e 6 mesi e 2 anni e 3 mesi per i 14 tra attivisti ed ex deputati pentastellati coinvolti nella vicenda delle firme false presentate nel 2012 a sostegno della lista per le comunali.
Di Maio sa qual è la sua carta e d è determinato a giocarla fino in fondo: governare e studiare la riscossa. Lavorando al contempo per far decollare entro fine anno la riorganizzazione promessa e allargare la base decisionale con i 12 facilitatori e le loro squadre. «Dopo quella riforma si rifletterà su tutto, anche sull’opportunità che il capo politico accumuli la guida del Movimento insieme all’importantissimo ruolo di governo», sottolinea il senatore Primo Di Nicola.
Una resa dei conti è invocata da più parti, le fronde si compongono e si scompongono tra gli ex Cinque Stelle di Governo delusi (da Barbara Lezzi a Giulia Grillo, passando per Danilo Toninelli), i filoleghisti come Gianluigi Paragone, gli scettici vicini ad Alessandro Di Battista, la nuova guardia disorientata. Ma c’è un asse che ormai si è saldato a cui Di Maio guarda con più attenzione degli altri: quello tra i parlamentari “ortodossi” legati a Beppe Grillo (come la stessa Ruocco, il presidente dell’Antimafia Nicola Morra e il presidente della commissione Cultura della Camera, Luigi Gallo) e i fedelissimi del presidente della Camera, Roberto Fico, da Giuseppe Brescia a Riccardo Ricciardi, il cui nome circolava con insistenza ieri come prossimo capogruppo. Sono loro al momento - insieme alla pattuglia di professionisti eletti all’uninominale, che amano definirsi «critici ragionevoli» della gestione dimaiana - i più vicini alla linea di Giuseppe Conte, il vero alter ego di Di Maio in questa fase. Vicini soprattutto per la convinzione che sia un errore gettare alle ortiche il progetto di un’alleanza strutturale con il Pd alle prossime regionali, in particolare in Emilia Romagna.
Al momento il primo round sul punto sembra esserselo aggiudicato Di Maio, che benedice soltanto le alleanze con «movimenti che lavorano sul territorio, non con altre forze politiche». Con gli eletti emiliani e calabresi, d’altronde, i dubbi sulla ripetizione dello schema umbro sono emersi con nettezza. Anche se è presto per tirare le somme. Qualcuno, in Parlamento, avanza l’idea di valutare una sorta di patto di desistenza con i dem per favorire un candidato Pd in Emilia (Stefano Bonaccini) e una candidata M5S in Calabria, dove si era autoproposta la deputata Dalila Nesci. Suggestioni che ai vertici nessuno raccoglie.
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