verso gli stati generali

M5S, votazioni in due tempi entro novembre. Intanto si tratta con Casaleggio per sganciare Rousseau

Prima si deciderà la forma della leadership, poi i nomi. L’ipotesi di un direttorio con tutti i big. Aperta la trattativa con il manager milanese perché si trasformi in fornitore di servizi

di Manuela Perrone

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3' di lettura

In 7mila, ha appena comunicato il reggente Vito Crimi, hanno confermato la partecipazione agli incontri territoriali che si concluderanno in tutte le regioni il 31 ottobre. Sarà la prima tappa degli Stati generali M5S, tutti online, che entro fine novembre dovranno concludersi con due indicazioni fondamentali: prima quale governance e poi quale leadership. Perché i voti decisivi saranno due: quello dell’assemblea degli iscritti sui documenti conclusivi dell’incontro nazionale del 14 e 15 novembre relativi alle tre aree tematiche individuate (temi e agenda politica, organizzazione e struttura, princìpi e regole) e, soltanto successivamente, quello sui nomi e cognomi dei nuovi vertici.

Il ginepraio Rousseau

I veri nodi sono tre. Il primo è il destino della piattaforma Rousseau, ormai invisa alla maggior parte dei parlamentari insieme a chi ne gestisce le chiavi: Davide Casaleggio. Crimi sta trattando con il manager milanese per trasformare il rapporto con l’Associazione Rousseau, di cui il figlio del cofondatore è presidente, in un contratto di fornitura di servizi. Un nodo è il prezzo. Secondo indiscrezioni circolate nelle scorse settimane e non smentite, Casaleggio avrebbe chiesto 1,2 milioni di euro per cedere la “cassa” oggi gestita dall’Associazione, senza peraltro rinunciare a un controllo sui contenuti. La cifra è stata ritenuta irricevibile, ma la trattativa è aperta. Per questo, nella lunga intervista rilasciata a La7 dal suo ufficio milanese in cui ha ribadito come ai tempi del Governo Conte 1 gli fosse stato offerto un ministero (lsi tratterebbe dello Sviluppo economico, poi andato a Luigi Di Maio insieme al Lavoro), Casaleggio si è detto «disponibile a riconfigurare il rapporto tra il Movimento e Rousseau e a venire incontro a qualunque esigenza che emergesse». Di più: ha lasciato intendere che a quel punto i suoi servizi potrebbero essere offerti anche ad altri.

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Verso un direttorio con tutti i big?

Il secondo rebus riguarda la forma della leadership. Ormai è palese la preferenza per un organo collegiale da parte della maggioranza dei parlamentari e da tutti i big, tranne Alessandro Di Battista. Casaleggio ha invece di nuovo fatto mostra di scetticismo sia sull’impianto stesso degli Stati generali sia sulla proposta di una gestione collegiale, caldeggiata dalla maggioranza dei parlamentari e da tutti i big (tranne Alessandro Di Battista). «Un organo collegiale già esiste - ha precisato -: ha 200 persone (il «team del futuro» composto dai vari facilitatori, ndr) e devo capire in che modo si deve evolvere quest’organo». Di tutt’altro avviso il corpaccione M5S. La soluzione al momento più caldeggiata è quella di un direttorio bis con dentro tutte le prime linee, da Di Maio a Roberto Fico, passando per Paola Taverna, Roberta Lombardi in rappresentanza dei consiglieri regionali e Chiara Appendino come espressione degli amministratori comunali. Se si riuscisse in corso d’opera a coinvolgere anche Di Battista sarebbe l’ideale, per chi tifa per una riunificazione del Movimento. All’interno di quest’organo sarebbe poi scelto un «portavoce», primus inter pares. Carica che però in questa fase nessuno ammette di voler ricoprire. Neppure Di Maio, nonostante sia attivissimo su tutti i fronti e riconosciuto da molti come il leader di fatto.

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I rapporti nel Governo e l’incognita Covid

Il terzo nodo è tutto politico: da quel che sarà il Movimento a fine novembre dipenderà anche il delicato equilibrio dei rapporti con il premier Giuseppe Conte e con gli alleati di governo, Pd in primis. Un M5S stabilizzato e non più balcanizzato conviene a tutti. Ma sarebbe audace dedurne che la convivenza con i dem e con i renziani si farà più semplice. O che si realizzi automaticamente quel “fronte progressista” strutturale auspicato qualche mese fa dal segretario Pd Nicola Zingaretti con Conte come punto di riferimento. L’incognita Covid grava sull’Esecutivo e sul Paese come un macigno. E nessuno oggi sa prevedere con certezza l’esito della verifica di governo chiesta da Matteo Renzi e da Zingaretti e promessa dal premier, appunto, dopo gli Stati generali M5S.

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