Ma Caracas spaventa i risparmiatori
di Nicola Borzi
2' di lettura
Il timore di un ulteriore crollo dei prezzi, la paura — reale o immotivata — di un default, la reazione istintiva di fronte alle notizie in arrivo da Caracas. C’è tutto questo dietro il sell off che da fine luglio sommerge di vendite i titoli obbligazionari, tutti in dollari e quotati anche in Italia, emessi dal Venezuela e dalla società petrolifera di Stato, Pdvsa.
Sono 16 le obbligazioni in valuta scambiate sui mercati regolamentati italiani, per un circolante che sfiora i 43,6 miliardi di dollari, con tagli minimi compresi tra i 100 e i 2mila dollari che le rendono alla portata di tutte le tasche. Tranne l’emissione USP7807HAK16 di Pdvsa, che scade il 2 novembre e quota in area 85, tutti hanno maturity che dal 2019 si spingono sino al 2038 e prezzi in picchiata, compresi nella forchetta tra 46 e 32 circa, con rendimenti effettivi netti a scadenza che vanno dal 17,5 sino al 60% annuo.
I volumi scambiati nelle ultime 10 sedute, secondo i dati di Skipper Informatica, sono oltre 135,4 milioni di titoli, pari a quasi 243mila lotti minimi. Le statistiche segnalano uno spike parossistico delle contrattazioni: dopo il 20 luglio, nella top ten delle obbligazioni in dollari Usa più scambiate, le venezuelane occupano le prime quattro posizioni e ancora l’ottava e la nona. Gli scambi sui bond di Caracas nei mercati italiani erano fortissimi già a inizio d’autunno 2016, con 15,7 milioni di una sola emissione scambiati il 20 ottobre, quando il presidente Maduro aveva bloccato il referendum che poteva destituirlo, ma su prezzi in ripresa. Sino a inizio luglio i corsi erano in trading range, per poi andare in picchiata e rimbalzare.
Mentre gli istituzionali paiono alla finestra (ma c’è chi, bene informato, compra fiutando l’affare), le vendite sembrano mosse da decine di migliaia di risparmiatori che tentano di disfarsi dei titoli anche a costo di “bagni”. Minusvalenze dovute non solo ai corsi: l’effetto cambio è sfavorevole per chiunque abbia comprato i bond dopo il 14 gennaio 2015, perché il rafforzamento dell’euro sul dollaro genera pesanti ricadute sul saldo dell’investimento in caso di rivendita.
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