ECONOMIA

M&A, la moda in prima linea: aumenta l’appeal dei terzisti

Il trend è confermato dall’analisi Le acquisizioni nella filiera del lusso Made in Italy, realizzata da Kpmg per Il Sole 24 Ore. Secondo Intesa Sanpaolo nel 2022 il 2,5% circa delle imprese del sistema moda potrebbe essere interessato da operazioni di M&A, una percentuale più alta della media nazionale.

di Marta Casadei

Secondo le rilevazioni di Intesa Sanpaolo il 2,5% delle imprese del sistema moda potrà essere interessato da fenomeni di M&A nel corso del 2022. Nel mirino ci sono eccellenze italiane medio-piccole ma strategiche

I punti chiave

  • Sono aumentate le operazioni M&A nel settore moda
  • La pandemia ha fatto emergere l’importanza delle filiere di prossimità
  • Le pmi ora interessano non solo ai grandi gruppi, ma anche ai private equity e a chi vuole creare poli di eccellenza produttiva

4' di lettura

Se al fashion system italiano è stato spesso imputato di non aver saputo creare un grande polo finanziario della moda e del lusso in grado di competere con i big player francesi, la creazione di (più) hub del made in Italy potrebbe passare per operazioni M&A che coinvolgono imprese manifatturiere di media e piccola dimensione. Produttori spesso storici, ben radicati nel territorio:  tasselli di quella filiera di prossimità che contraddistingue il nostro Paese e rappresenta un valore aggiunto importante a livello internazionale.

Il fenomeno – che inizialmente ha coinvolto proprio i giganti del lusso francese – ha subìto un’accelerazione durante la pandemia: secondo una recente rilevazione condotta sulla rete di gestori di Intesa Sanpaolo, che ha raccolto valutazioni su circa 570mila imprese clienti, nel 2022 il 2,5% circa delle imprese del sistema moda potrebbe essere interessato da operazioni di M&A. Una percentuale superiore a quanto previsto mediamente per l’economia italiana. “Colpa” della pandemia, che da un lato ha peggiorato Ebitda e posizione finanziaria di alcune imprese – nei distretti del sistema moda, sempre secondo Intesa Sanpaolo, la quota di aziende con patrimonio netto negativo si è portata al 4,8% nel 2020 – e, dall’altro, ha evidenziato l’importanza crescente di una filiera di prossimità. «Sono operazioni da leggere con favore – spiega Giovanni Foresti, senior economist della Direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo– perché spesso valorizzano le competenze del territorio e contribuiscono a rilanciare i distretti produttivi a livello internazionale».

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La genesi di questo trend – confermato dall’analisi Le acquisizioni nella filiera del lusso Made in Italy, realizzata da Kpmg per Il Sole 24 Ore – è però antecedente al Covid:  è rintracciabile in alcune acquisizioni fatte dal gruppo Zegna già tra il 2009 (Tessitura di Novara) e il 2016 (Bonotto) e poi, in modo più sistematico, quando altri grandi player internazionali hanno scelto di acquisire realtà italiane con cui avevano una collaborazione di lungo corso. È il caso di Chanel – che nel 2019 ha rilevato le concerie Gaiera e Samanta – e di Lvmh, sempre nel 2019 è entrato nel capitale di Masoni Industria Conciaria di Santa Croce sull’Arno. «Le aziende hanno voluto garantirsi forniture strategiche – spiega Max Fiani, partner di Kpmg e curatore del report M&A Italia – evitando che il fornitore potesse entrare in una situazione di pre crisi o di tensione finanziaria e confermare i livelli qualitativi e i volumi della produzione».

Dal 2020 in poi i processi di costruzione di “poli” di filiera radicati sul territorio sono aumentati in modo significativo e si sono sganciati dai grandi gruppi per coinvolgere direttamente le imprese locali. L’obiettivo è simile: raggruppare eccellenze . Lo ha fatto il Gruppo Florence, polo tessile controllato per circa il 65% dal Consorzio guidato da Vam Investments, fondo italiano di private equity e da Italmobiliare, che nel biennio 2020–2021 ha chiuso sette acquisizioni nei segmenti outerwear, capispalla, maglieria e sciarpe (Giuntini, Ciemmeci, Mely’s, Manifatture Cesari, Emmegi, Antica Valserchio) e nel 2022 ha già annunciato l’intenzione di continuare nelle calzature e pelletteria. Anche la Holding Industriale di Claudio Rovere ha concluso sette operazioni tra il 2019 e il 2021:  quattro aziende toscane, situate tra Arezzo e Firenze, due venete e una marchigiana; operano in settori diversi (dai capispalla alle calzature), ma tutte lavorano come terzisti per i grandi gruppi dell’altagamma. Ci sono poi i casi della torinese Pattern, attorno alla quale si sta creando il Polo italiano della progettazione di lusso che include imprese umbre ed emiliane, e della veneta Nice Footwear che tra luglio 2021 e gennaio 2022 ha rilevato Manifattura Favaro (calzature) ed Emmegi (borse) tra Vicenza e Padova.

«Il fenomeno inizialmente ci ha sorpresi – spiega Fiani di Kpmg –. Eravamo abituati ad avere grandi acquisizioni di gruppi francesi o americani sull’azienda capofila. Queste operazioni confermano invece come realtà spesso piccole e poco visibili abbiano un ruolo strategico con le loro produzioni di nicchia ad altissimo valore aggiunto». L’integrazione – come sottolineato dalla stessa Kpmg nell’analisi – consente di consolidare il posizionamento nel settore del lusso, sempre più esigente e attento alla sostenibilità dei prodotti, della filiera produttiva e dei propri partner.

Proprio questo aumenta l’appetibilità delle imprese terziste, ora sotto la lente anche dei fondi: «Ci sono diversi esempi di equity di varie dimensioni che hanno effettuato operazioni di add on su acquisizione primaria di taglia media», dice Fiani. È il caso del fondo d’investimento H.I.G Capital che, qualche giorno fa, ha annunciato l’acquisizione (la quarta dal 2019) di Varcotex tramite la controllata Cadicagroup, a sua volta frutto di un’aggregazione. La spinta che arriva dai fondi rappresenta, per l’industria italiana, una chance di rafforzamento. E, perché no, di riportare in auge l’idea di uno o più poli produttivi leader nel mondo: «Si delineano nuove opportunità all’orizzonte, cioè quando soggetti finanziari dovranno uscire dall’investimento», chiosa Fiani.

Nella versione cartacea di questo articolo è riportato erroneamente il cognome Pagani al posto di Fiani, partner di Kpmg. Ci scusiamo con i lettori e con l’interessato

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