Macron e il «Rinascimento europeo», azzardo e rischio boomerang
di Fabio Masini
3' di lettura
Con un'iniziativa senza precedenti, il presidente francese Emmanuel Macron ha diffuso una lettera aperta a tutti i cittadini dell'Unione europea: il Manifesto per un Rinascimento Europeo. Al di là delle accuse di opportunismo politico, visto l'avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, Macron sottolinea l'urgenza di riprendere il percorso di creazione di una sovranità europea, da affiancare a quelle nazionali. Un obiettivo a lungo dimenticato, che considera strategico per rispondere efficacemente alle sfide con gli altri giganti politici, economici e militari che oggi competono nel mondo.
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Con sano realismo, Macron ha ricordato i successi dell'integrazione europea; ma ne ha anche ammesso i fallimenti, di fronte alle pressanti richieste dei cittadini europei di ricevere risposte concrete alle loro esigenze condivise: crescita, occupazione, difesa, sicurezza, protezione dello stato sociale, transizione ecologica. Esigenze alle quali i farraginosi meccanismi decisionali europei, bloccati dal voto all'unanimità, non hanno saputo rispondere; e che hanno alimentato i risentimenti anti-europei e le rivendicazioni per il ritorno ad una (anacronistica) sovranità nazionale. Da qui l'urgenza di un Rinascimento europeo. L'analisi e gli obiettivi di fondo indicati da Macron sono pienamente condivisibili; le perplessità sorgono sugli strumenti proposti.
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Cruciale, ad esempio, superare l'austerità e puntare sul finanziamento della transizione ecologica e dell'innovazione: fattori chiave per la competitività e la sostenibilità del modello di sviluppo europeo nel mondo. Ma perché affidarsi a due nuove agenzie ad-hoc, come una “Banca europea per il clima” e un “Consiglio europeo dell'innovazione”; e chi dovrebbe finanziarle? Splendida l'idea di assicurare il rispetto delle regole democratiche e di una corretta informazione pubblica, ma perché lasciarle nelle mani di una “Agenzia europea di protezione delle democrazie”? Così come sensato appare rivedere Shengen nell'ottica “della responsabilità e della solidarietà” e accrescere la cooperazione in materia di difesa; ma perché farlo “sotto l'autorità di un Consiglio europeo di sicurezza interna” e di un “Consiglio di sicurezza europeo”? Bene lanciare un piano per l'Africa, vista la rilevanza strategica che ha per noi europei lo sviluppo di quel continente; ma con quali fondi? O la promozione di una politica industriale europea con lo slogan di “Europe first”, da affiancare alla competenza esclusiva della Commissione a tutela della concorrenza; ma gestita da chi? E lo “scudo sociale e salario minimo europeo” da chi dovrebbero essere discussi e imposti?
Insomma, quando Macron suggerisce che con questo Rinascimento “i popoli avranno veramente ripreso il controllo del loro destino” la credibilità dell'intera costruzione si incrina pericolosamente. L'insidia nascosta nel documento è il metodo, intergovernativo e delegato a nuove agenzie ad-hoc, con cui promuovere questi obiettivi. Se ciò può consentire di superare le lentezze del metodo comunitario (che tuttavia ha raggiunto alcuni successi in tutti questi ambiti e che non ha molto senso ignorare), rischia di aumentare la distanza fra i cittadini e le procedure decisionali dell'UE; acuendo quella crisi di fiducia che interessa l'intero processo d'integrazione europea e favorendo i rigurgiti nazionalisti e antieuropei cui abbiamo assistito negli ultimi anni.
Macron auspica una maggiore integrazione economica, sociale e politica europea. Questa richiede un rafforzamento delle istituzioni sovranazionali, che difendono l'interesse generale europeo. Il metodo intergovernativo di fatto lascia fuori i cittadini, non riconoscendo il ruolo del Parlamento Europeo, che potrebbe essere l'attore di un percorso costituente con l'obiettivo di scrivere un nuovo patto costituzionale per la creazione di una genuina democrazia sovranazionale. Una mossa che, in vista delle elezioni europee, rischia di trasformarsi in un boomerang.
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