VERSO IL BALLOTTAGGIO

Macron, a metà fra Kennedy e Obama

di Dominique Moisi

(AFP)

4' di lettura


Dopo il primo turno delle elezioni per la presidenza della Francia, nel quale Emmanuel Macron è arrivato al primo posto, le emozioni che i cittadini francesi provano di più sono sollievo e orgoglio. Per una volta i sondaggisti hanno avuto ragione: i due candidati favoriti – Macron e Marine Le Pen del Front National – accedono quindi al secondo turno, il ballottaggio del 7 maggio. Sparita è l'ansia che si percepiva nelle settimane, nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti alle elezioni, imputabile al timore che la Francia potesse svegliarsi avendo davanti a sé uno spareggio tra Le Pen, candidata dell'estrema destra, e Jean-Luc Mélenchon, candidato dell'estrema sinistra.
Molti osservatori ritenevano la Francia troppo esposta sul piano economico, sociale e politico nei confronti di una simile scelta – molto più di quanto non siano Regno Unito, Stati Uniti o Germania. Dopo il voto del Regno Unito a favore della Brexit e dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti, di sicuro questa era una finestra di opportunità per Marine Le Pen. Alcuni di noi, spiritosi soltanto a metà, avevano perfino scherzato su come se la sarebbero data a gambe, in caso di vittoria di Le Pen. Tra una Gran Bretagna in fase di distacco dall'Unione europea e gli Stati Uniti sotto Trump, restano davvero poche buone opzioni.
Per fortuna, la ragione e la speranza hanno avuto la meglio sulla collera e sulla paura, e i cittadini francesi hanno sfidato coloro che mettevano in guardia dal fatto che il populismo potesse trionfare nella terra della Rivoluzione Francese. Se una vittoria di Marine Le Pen adesso è tecnicamente possibile, la composizione dell'elettorato francese la rende assai improbabile. Pochissimi dei sostenitori di sinistra di Mélenchon passeranno all'estrema destra. E se anche alcuni dei fautori del candidato di centro-destra François Fillon passassero a votare per Le Pen, non saranno in numero sufficiente a far pendere l'elezione a suo favore.
In altri termini, possiamo affermare che l'eccezione francese è viva e vegeta. L'elettorato in controtendenza della Francia ha dimostrato al mondo intero – e soprattutto al mondo anglosassone – che per sconfiggere il populismo non è indispensabile tradire i propri valori fondanti. Malgrado la recente ondata di attentati, i francesi hanno dimostrato tutta la loro resilienza alla politica del terrore. E il candidato filo europeo Macron ha ricevuto più voti di chiunque altro nonostante l'ascesa dell'euroscetticismo.
Talune circostanze eccezionali portano in qualche caso all'ascesa di personaggi eccezionali. Senza la Rivoluzione Francese, Napoleone Bonaparte sarebbe rimasto un ufficiale di basso grado dell'esercito reale francese. Nello stesso modo, seppure meno platealmente, se i due partiti politici francesi più importanti non fossero crollati, il trentanovenne Macron, sconosciuto alla maggior parte dei francesi almeno fino a un anno fa, ancora adesso non sarebbe niente più di uno dei tanti giovani talenti dell'economia.
Macron assomiglia a un John F. Kennedy francese e ha fatto campagna elettorale nello stile di Barack Obama. In ogni caso, è riuscito ad arrivare dove è arrivato perché il partito socialista di François Mitterand non esiste più e perché Les Républicains, i conservatori, sono in pieno caos. Quanto ai socialisti, non sono riusciti a mettere insieme un'agenda politica moderna, mentre i repubblicani non hanno saputo trovare un altro candidato dopo che Fillon è rimasto infangato da uno scandalo.
Di conseguenza, nonostante la sua reputazione di Paese nostalgico, indeciso e pessimista, la Francia si accinge a eleggere il presidente più giovane della sua storia. A quel punto, tuttavia, Macron si troverà alle prese con una serie di sfide del tutto nuove, a cominciare dalle elezioni legislative già fissate a giugno. Macron si ritroverà all'Assemblea Nazionale con una maggioranza di governo o la destra presenterà un fronte compatto costringendolo a sottomettersi a quella pratica esclusiva della politica francese che è la cohabitation?
Nel sistema semipresidenziale francese, la “coabitazione” implica che il ramo esecutivo può restare paralizzato nel caso in cui il presidente e il primo ministro appartengano a schieramenti politici diversi e antagonisti. Ma Macron vuole dimostrare di poter concretizzare il modello della coalizione di maggioranza seguito nei sistemi parlamentari, con un'“alleanza dei volenterosi” che comprenda sensibilità politiche diverse ma compatibili che perseguono un obiettivo comune.
È mia opinione che la Francia sia matura per un governo di coalizione in grado di trascendere le sempre più anacronistiche linee politiche tra destra e sinistra. La vera linea di spartiacque della politica francese, come in buona parte dell'Occidente, oggi è quella che corre tra chi difende l'apertura globale e chi è favorevole a un ritorno all'isolazionismo nazionalista.
Macron dovrà prendere atto delle radici culturali delle tradizionali divisioni tra destra e sinistra e nel contempo dare valide risposte alla rabbia rivoluzionaria che cova in profondità oggi in Francia. Malgrado l'eccellente prova di forza di Macron al primo turno, quasi il 40 per cento dell'elettorato francese ha espresso una preferenza per i candidati euroscettici Le Pen e Mélenchon. Ripristinare la fiducia di quegli elettori nelle istituzioni esistenti, e reintegrarli nel mainstream politico non sarà facile. I partiti sconfitti avranno la tentazione di scendere in piazza e di bloccare ogni tentativo di riforma. Avendo fallito alle urne, insomma, potrebbero seguire la moda rivoluzionaria tradizionale francese e “alzare le barricate”.
Macron ha dimostrato le sue immense qualità di candidato. Dopo il 7 maggio dovrà dimostrare anche che, malgrado la sua giovane età e la sua mancanza di esperienza, sarà capace di diventare un grande presidente. Conquistare il potere è una cosa. Esercitare il potere in maniera efficace, evitando le derive autoritarie che possono emergere in circostanze eccezionali, è ben altra.
Questa è la missione che spetta a Macron. Sospinto da un senso del destino, dovrà resistere alle tentazioni del bonapartismo. E, nel frattempo, il mondo democratico farà bene a vedere in lui ciò che egli è davvero: un faro di speranza in un mare di dubbio e sconforto.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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