FRANCIA

Macron perde pezzi: via anche il portavoce

di Riccardo Sorrentino

(EPA)

3' di lettura

Prima è andato via Nicolas Hulot, ministro dell’Ambiente, quasi sbattendo la porta. Poi, sia pure in modo non polemico, la ministra dello Sport, Laura Fressel. Ora tocca anche al portavoce dell’Eliseo, Bruno Roger-Petit, nello stesso giorno in cui il presidente Emmanuel Macron invita il governo a «resistere» per realizzare «grandi trasformazioni» malgrado le «enormi sfide». Senza contare coloro che gli hanno detto no: Daniel Cohn-Bendit, leader dei verdi tedeschi e di quelli francesi, e Pascal Camfin, direttore generale del Wwf France, entrambi invitati a sostituire Hulot.

Consenso ai minimi
Non è un buon momento per Emmanuel Macron. L’ultimo sondaggio porta il consenso per il suo operato al 31%, un punto percentuale in meno di quello che ottenne François Hollande nella stessa fase del suo mandato e, soprattutto, dieci punti in meno rispetto a luglio. Ha sicuramente pesato lo scandalo di Alexandre Benalla, la guardia del corpo di cui il presidente ha coperto i pestaggi nel corso delle manifestazioni del primo maggio, e prima ancora l’inchiesta aperta a carico del capo di cabinetto Alexis Kohler.

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Inciampato su se stesso
Il presidente-filosofo, ex assistente editoriale di Paul Ricoeur, che immaginava di essere “Giove all’Eliseo” ed erede di Charles de Gaulle e di François Mitterrand in realtà è inciampato su se stesso. Già in campagna elettorale agli oppositori era gioco facile sottolineare qualche sua gaffe, ma non è il suo stile comunicativo - affidato da sempre al musicologo Sylvain Fort, da oggi anche sostituto di Roger-Petit - che lascia a desiderare. Ai francesi non piace proprio la sua politica e soprattutto la sua politica economica. L’aumento dei contributi sociali, il taglio delle tasse a favore dell’assunzione dei grandi manager, il lancio un po’ confuso a fine agosto della ritenuta fiscale alla fonte, la riforma del lavoro monca (come è avvenuto altrove): il cahier de doléances è molto lungo.

Efficienza senza fiducia
Soprattutto, Macron ha puntato tutto sull’efficienza, peraltro ancora da dimostrare, delle sue politiche - enfasi peraltro da sempre conservatrice, da Edmund Burke in poi - come mezzo per conquistare consensi; dimenticando che il problema della Francia, come di moltissimi altri Paesi occidentali, è quello della sfiducia nei confronti del mondo politico (e non solo), abilmente sfruttato dalle frange populiste che iniziano, a Parigi, ad attrarre a sé anche la destra tradizionale. Il governo ha varato alcune misure a favore della fiducia verso le istituzioni, l’anno scorso, ma si trattava di interventi molto istituzionali.

«Favoritismi malsani»
Il caso Benalla, invece, dietro il quale il prefetto di Parigi Michel Delpuech ha visto «derive individuali inaccettabili, in un retroterra di favoritismi malsani» ha mostrato quanto lontano sia Macron dalle aspettative di rinnovamento dei cittadini; mentre le dimissioni - annunciate via radio - del popolarissimo Nicolas Hulot, uomo immagine del governo e responsabile, almeno in parte, del dossier climatico su cui il presidente ha fatto leva anche per imporre la leadership della Francia nel mondo, anche in polemica con Donald Trump, hanno messo in dubbio la sincerità delle intenzioni del presidente.

In sella fino al 2022
Il sistema francese permette a Macron di restare saldamente in sella fino al 2022, anche se le opposizioni, oggi rivitalizzate dopo la sconfitta del 2017, potrebbero dargli filo da torcere al Senato, dove sono presenti in forze. Se però, come nel caso di Hollande, il presidente non riuscisse a risalire la china, quella parte della Francia che non si riconosce nel populismo del Front National, ora inseguito anche dai Républicains di Laurent Wasquiez dovrà trovare un altro cavallo di razza, più consapevole delle sfide che ha di fronte, prima delle prossime presidenziali.

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