Made in Italy, filiera e regionalità: più valore dall’origine in etichetta
Il Trentino Alto Adige si conferma primo per il giro d’affari degli alimenti che puntano sull’identità territoriale, con un aumento del 7% nel 2020
di Emiliano Sgambato
3' di lettura
Filiera controllata, certificazioni di origine, regionalità. La tendenza ai consumi che privilegiano il made in Italy accelera nell’anno del Covid e si arricchisce di nuove declinazioni legate alla sicurezza e al territorio.
Sono le abitudini di consumo che emergono dall’analisi dell’Osservatorio Immagino Gs1 Italy: in base ai dati relativi all’intero 2020 anticipati a Food 24, il 26,3% degli oltre 76mila prodotti monitorati ha evidenziato in etichetta un link con l’Italia, ad esempio inserendo la bandiera tricolore o una delle indicazioni geografiche Docg, Dop, Doc, Igp e Igt.
La variazione sul 2019 – che segna una crescita del 7,6% per un giro d’affari di oltre 8,4 miliardi – è ancora più significativa considerando che si tratta di un trend in atto da almeno quattro anni. L’accelerazione è poi netta rispetto alla precedente rilevazione annuale (+2,1% delle vendite in valore nel 2019 rispetto al 2018) e ha coinvolto tutte le indicazioni oggetto del monitoraggio.
«La pandemia ha certamente influito, amplificando atteggiamenti di consumo legati al bisogno di rassicurazione e fiducia su quello che si sta acquistando – commenta Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy –. Ma si tratta comunque di un fenomeno ormai strutturale che prescinde da quello che è successo nell’ultimo anno. Difficilmente si tornerà indietro. Tanto più che stanno emergendo sia nell’offerta che nella domanda nuovi aspetti legati alle filiere e ai processi produttivi. I consumatori sono sempre più esperti e critici, è aumentata la cultura alimentare e l’attenzione alla tradizione, soprattutto tra chi ha maggiore capacità di spesa, dato che si tratta di prodotti mediamente più costosi».
Il caso di scuola è la pasta: fino a qualche anno fa l’origine del grano era ininfluente, ora si diffonde sempre di più l’attenzione alla filiera italiana, con i cosumi che a metà 2020 per Ismea era già cresciuti del 28% in valore su base annua. Ma sono aumentati anche gli acquisti nostrani di uova, surgelati, olio extravergine, sughi pronti e affettati.
L’indicazione in etichetta “100% italiano” nel 2020 ha migliorato la sua performance rispetto all’anno precedente del 9,5% in termini di vendite, contro il +4,1% messo a segno nel 2019, arrivando a comparire sulle etichette del 7,3% dei prodotti alimentari monitorati.
Buone notizie anche per il mondo delle indicazioni geografiche, tra le quali spiccano per risultati le Dop – 1,8% di quota, cresciuto dell’11,2% nelle vendite in valore nel 2020 dopo il +7,1% ottenuto nel 2019 – e le Doc (+8,8% di vendite a valore contro il +3,2% nel 2019).
Aumentano anche alimenti e bevande che contemplano in etichetta l’indicazione della regione italiana da cui provengono. Nel 2020 hanno sviluppato circa 2,6 miliardi di euro di vendite e hanno visto crescere il giro d’affari del 6,4% rispetto ai dodici mesi precedenti. Si tratta di un paniere composto da oltre 9.200 referenze, che rappresentano l’11% dei codici rilevati dall’Osservatorio Immagino, e che contribuiscono per l’8% al giro d’affari totale del food nel canale ipermercati e supermercati.
Il Trentino-Alto Adige conferma il suo primato sia per numero di referenze che per giro d’affari: vini e spumanti, speck, yogurt e latte che fanno leva sul territorio hanno generato un aumento del 7% del fatturato. «Il “sovranismo” alimentare – secondo l’Osservatorio – è accentuato in Trentino-Alto Adige, in Friuli-Venezia Giulia e in Sardegna, mentre in altre regioni (soprattutto quelle con le maggiori aree metropolitane) c’è un maggiore “melting pot”: Lombardia e Lazio in testa seguite dalla Toscana». Qui l’interesse per i prodotti regionali locali rimane alto, ma si affianca agli acquisti provenienti da altri territori: «I prodotti lombardi piacciono molto in Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania, il Nord-Est, esclusa l’Emilia-Romagna, gioca “in casa”, così come il Centro escluso Toscana e Lazio. Al Nord-Ovest poco si resiste ai prodotti pugliesi e campani».
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