Maestà, che silhouettes!
di Marco Carminati
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Se non fosse uno dei più grandi storici dell’arte del nostro tempo e padre di un intero ramo della disciplina (per primo ha usato le armi della filologia per lo studio di mobili e arredi di corte), Alvar González-Palacios potrebbe primeggiare come pittore, e in particolare come pittore di ritratti e di vedute d’interni. A cimentarsi con i pennelli del ritrattista forse non ci ha mai provato, ma è certo che il nostro storico dell’arte (e apprezzatissimo collaboratore di queste pagine) sia in grado di farlo perfettamente con la penna, come ha dimostrato nel libro Persona e maschera. Collezionisti, antiquari, storici dell’arte (uscito da Rosellina Archinto nel 2014), nel quale ha magistralmente tratteggiato personaggi dell’arte e della cultura che ha potuto conoscere e incontrare nella sua vita professionale.
A quella vivace “galleria dei ritratti” si aggiunge ora un’ulteriore “ala”, la cui “guida” è rappresentata dal nuovo volume Solo Ombre. Silhouettes storiche, letterarie e mondane (sempre edito da Rosellina Archinto) nel quale vengono invece abbozzati a mo’ di silhouettes, appunto, i profili di grandi personaggi del passato e del presente non conosciuti direttamente dall’autore, fatta salva qualche eccezione come, ad esempio, il principe Enrico d’Assia, la poetessa Maria Féliz, l’artista Fabrizio Clerici, lo scrittore Alberto Arbasino e donne di gran classe come Violet Trefusis e Marcella Traballesi. Negli anni Cinquanta, González-Palacios ha avuto la ventura di incontrare per caso in un ristorante di Parigi il principe russo Felix Yussupoff (l’assassino di Raspuntin) e - dalla postazione del suo tavolo - ne ha potuto trarre un ritrattino davvero d’eccezionale efficacia.
Anche se buona parte dei “ritrattati” del volume è già passato a miglior vita, il titolo Solo Ombre non ha intenzione d’evocare atmosfere cimiteriali, ma si riferisce piuttosto al bel mito - evocato anche dall’immagine di copertina - secondo il quale il genere del ritratto nacque quando la testa di una donna, investita dalla luce di una lampada, si proiettò su una parete e il suo profilo venne immortalato sulla parete con lo stilo. Nacque così la prima silhoette.
Nella nuova galleria di ritratti e silhouettes, i “quadri” (per così dire) non sono appesi alle pareti a caso e per formato, come vorrebbe la tradizione delle grandi gallerie antiche, ma vengono presentati a gruppi tematici, dalle «Anime iberiche», ai grandi monarchi collezionisti, dai principi di sangue alle «Donne al potere», dagli artisti ai «Testimoni», dagli «Storici e critici d’arte» a personaggi variamente «In posa».
A inaugurare la carrellata di «Anime iberiche» troviamo il re di Spagna Filippo II d’Asburgo, il cui sguardo raggelava l’ardente Teresa d’Avila e il cui sorriso assomigliava alla lama di una spada. Parlava a voce bassissima e prendeva così sul serio la dignità del suo ruolo d’autocrate da masticare un boccone di cibo sempre lo stesso numero di volte. È stato definito un timido permanente, un diffidente e un prudente senza ottimismo ed euforia. Per Schiller e Verdi era un tiranno, per González-Palacios era un tiranno soprattutto con se stesso. Un refolo di gioia la dimostrava solo a contatto con gli adorati reliquiari dei santi (di cui era famelico collezionista) e soprattutto davanti agli amatissimi dipinti di Roger van der Weyden, Bosch, Tiziano, Antonio Moro e Alfonso Sanchez Coello.
L’altro grande re di Spagna tratteggiato dall’autore è Carlo III di Borbone, di indole e carattere diametralmente opposti a quelli di Filippo II. Re Carlo fu un padre, non solo per i suoi figli ma anche dei suoi sudditi, prima a Napoli (1734-1759) e poi a Madrid (1759-1788). E a Napoli diede il meglio di sè: fece costruire edifici grandiosi (Capodimonte e Caserta), fondò superbe manifatture (le porcellane), promosse gli scavi di Ercolano e Pompei e trasferì nel regno partenopeo le raccolte ereditate dalla madre Elisabetta Farnese. Se oggi Napoli è artisticamente così ricca lo si deve a lui, e suo figlio Ferdinando IV.
I grandi monarchi collezionisti sono tra i soggetti prediletti da González-Palacios. Deliziosi sono i profili di Ferdinando de’ Medici (prima cardinale e poi Granduca di Toscana), eccezionale raccoglitore di marmi e di antichità, cui fa seguito la silhoette di Federico il Grande, il tiranno di Prussia che adorava la pittura, gli arredi e in generale la cultura francese, al punto da invitare a corte personaggi illuminati come Voltaire (per poi lesinargli cibo e candele). Non meno efficace è il ritrattino di Caterina II di Russia, collezionista avida e curiosa. Alvar González-Palacios evidenzia soprattutto gli appetiti della zarina per i cammei e le pietre incise, attraverso la rievocazione dei suoi atti, dei suoi capricci e delle cifre (talvolta astronomiche) sborsate per aggiudicarsi le gemme più esclusive.
Nella sequenza di profili dedicata ai «Principi di sangue» è necessario segnalare quello su Enrico d’Assia, figlio del landgravio Filippo e della sfortunata Mafalda di Savoia. González-Palacios conobbe bene Enrico d’Assia, e proprio in occasione della sua morte nel 1999 compose un affettuoso ritratto del principe italo-tedesco sulle pagine di questo supplemento, per riproporlo ora nel libro.
Tra i ritratti ci sono anche quelli di donne che hanno dominato il gusto del loro tempo (come Madame Pompadour) e che hanno tentato di dominare la politica del loro tempo, come nel caso della regina Maria Carolina di Napoli che, dopo la morte per ghigliottina della sorella Maria Antonietta, elaborò un tale odio per la Francia rivoluzionaria e napoleonica da passare il resto della vita a tramare contro di essa.
A scrittori e scrittrici, a poeti e poetesse è riservato un buon tratto della galleria ideale. Qui ritroviamo le silhoettes di Madame du Deffand e di Lord Byron, di Kostantinos Kavafis e di W. Somerset Maugham, per proseguire con Geltrude Stein, Karen Blixen ed Ernest Hemingway.
Ma eccoci giunti alla sezione riservata agli artisti. Piranesi apre la volata e gli fa seguito Vincenzo Pacetti; mentre un grande ritratto a figura intera è riservato a Dominique Vivant Denon, il gentilhomme ordinarie che creò il Museo del Louvre a Parigi. Nell’eccezionale movimentazione di opere d’arte che la nascita del Louvre provocò in Europa tra Settecento e Ottocento si in quadra anche il ritratto di Antonio Canova, magistralmente effigiato da González-Palacios nelle vesti di «ambasciatore-imballatore» incaricato da Papa Pio VII Chiaramonti di riportare in Italia i tesori d’arte sottratti da Napoleone allo Stato Pontificio.
Canova è evocato anche in un secondo ritratto, stavolta squisitamente “di interni”. L’autore ci racconta una sua personale esperienza di studio e di ricerca attorno alla statua di una Danzatrice, messa in vendita dai Rothschild a Parigi attorno al 1980. Era una statua originale di Canova o una replica della bottega? González-Palacios si trovò a dover risolvere l’enigma, e in questo bellissimo “ritratto d’interno con Canova” ci racconta come giunse a stabilire che la statua fosse sul serio un autografo di Canova, ricostruendone le antiche provenienze e usando come prova persino i piccoli danni subiti dalla scultura mentre si trovava nella collezione Razumovskij di Vienna.
A chiusura dei ritratti degli artisti stupisce l’incontro con Jean-Michel Basquiat. Perché González-Palacios viene attratto da questo artista contemporaneo, apparentemente così lontano dai suoi interessi? Per capire bisogna leggere. González-Palacios, cubano di nascita, così spiega: «Le immagini inquietanti di Basquiat sembrano tradotte dalle lingue lucumì, yoruba e congolese che arrivavano sulle coste di Cuba, Haiti e Porto Rico con gli schiavi africani, gli stessi che cambiarono il ritmo della musica, la dolcezza dello zucchero di canna e insegnarono a intrecciare ad arte le foglie del miglior tabacco».
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