Maglificio Diana esporta il know how in Bangladesh
Il maglificio di Prato ha avviato a Dacca un progetto dedicato a prodotti rivolto a una fascia medio-alta di mercato trasferendo a un gruppo di collaboratori del luogo conoscenza di filati, tessitura e tecniche di lavorazione con salari superiori del 40% al minimo locale
di Natascia Ronchetti
2' di lettura
Da un anno trasferisce le competenze e il know-how accumulati in oltre mezzo secolo di storia produttiva a un gruppo di lavoratori e lavoratrici del Bangladesh. Conoscenza dei filati, tessitura, confezione, stiro. Garantendo una retribuzione più alta di circa il 40% rispetto al salario minimo vigente. Abbandonata la strategia dei grandi volumi a un prezzo medio-basso, il maglificio Diana di Prato scommette sulla qualità proprio nel Paese asiatico, giocando la carta della formazione continua e di condizioni di lavoro che si allineano ai parametri italiani ed europei.
«In Bangladesh eravamo già presenti da una decina di anni – dice Gianmarco Alessandrone, business development dell’azienda toscana -. Siamo partiti a Dacca, la capitale, con produzioni tarate su grandi volumi, per i quali con il tempo abbiamo capito che non ci sono più spazi. Per questo ci siamo focalizzati su un prodotto rivolto a una fascia medio-alta di mercato, innestando le nostre conoscenze in un gruppo costituito da una decina di colaboratori del luogo». Una radicale inversione di rotta. Non solo per Diana Studio, il marchio dell’azienda, ma anche per la produzione conto terzi: il maglificio, infatti – nel cuore del distretto della moda di Prato -, produce anche per grandi gruppi internazionali del settore. I capi che escono dall’ufficio di studio del prodotto di Dacca – maglieria per uomo e donna – vengono poi realizzati da un partner locale. «Abbiamo selezionato i nostri collaboratori tra il personale che aveva già sviluppato esperienza nel campo, anche se poi la formazione è in pratica partita da zero - prosegue Alessandrone -. Oggi il vantaggio è costituito non solo dalla qualità ma anche dall’assenza di intermediari, che agiscono come moltiplicatori del prezzo finale».
Il maglificio Diana è una piccola azienda -10 milioni di fatturato – che opera nel distretto di Prato da 51 anni e produce anche maglieria per bambini. Grazie a partnership con produttori locali, dispone di laboratori anche in Romania, Tunisia e Bulgaria. Ed esporta principalmente in Europa – Spagna in testa – e negli Stati Uniti. Con l’investimento in Bangladesh – investimento che contribuisce anche allo sviluppo del territorio – ha rotto schemi consolidati di processi produttivi. Anche perché con la pandemia, come spiega Alessandrone, sono cambiate molte cose. «Il Covid – dice – ha ridotto in Europa la consistenza e il numero delle piattaforme produttive, ora sempre più frammentate. Anche per questo abbiamo pensato a un nuovo modello in Bangladesh, dove esportiamo i filati e insegniamo come lavorare la lana, come realizzare un certo tipo di punto, come sviluppare il prodotto». Uno schema del quale si sono visti i primi risultati quest’anno, con la collezione uomo per la stagione autunno-inverno. Una volta al mese i designer dell’azienda volano in Bangladesh con le schede dei prodotti, che vengono poi sviluppati dal personale del luogo. «Adesso – aggiunge Alessandrone – stiamo lavorando alla collezione estiva».
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