Magrelli, uno sguardo sulla vita
“Exfanzia”, la sua ultima raccolta, è in libreria per i tipi di Einaudi
di Niccolò Nisivoccia
4' di lettura
Fin dall'esordio, con “Ora serrata retinae”, nel 1980, Valerio Magrelli si era immediatamente imposto nel panorama della poesia italiana come uno degli autori decisivi della sua generazione, e tale è rimasto nel corso degli anni – raccolta dopo raccolta, nella felice maturazione via via della sua voce (all'epoca aveva poco più di vent’anni).
Questo per dire che certo oggi non ha bisogno di presentazioni; e nel tempo abbiamo imparato a conoscerlo e ad amarlo non solo come poeta ma anche come scrittore, oltre che come intellettuale tout court (dopotutto Magrelli è anche docente universitario di letteratura francese e traduttore). Pensiamo, fra tutti, a due libri quali “Nel condominio di carne” e “Geologia di un padre”, in cui il respiro della poesia si allarga a quadri esistenziali ancora più compiuti, riguardanti il mistero della propria identità – a partire dal proprio corpo, nel primo caso, o dal rapporto con il padre nel secondo.
Piuttosto, va sottolineato che Magrelli è sempre rimasto fedele a certi tratti caratteristici, che la critica aveva da subito sottolineato e che ancora oggi ritroviamo nelle sue opere, ivi incluse le poesie che ora compongono Exfanzia, la sua ultima raccolta appena uscita da Einaudi (132 pagine, euro 11,50).
L'illuminazione di un piccolo gesto
Ad esempio: uno sguardo che riesce a posarsi sulle cose come se potesse godere di un campo di osservazione privilegiato, come “da una stanza buia” verso la luce (lo notava Enzo Siciliano, lo ribadiva Ermanno Krumm); la capacità di fissare le situazioni attraverso l'illuminazione di un piccolo gesto, di un tic; il gusto per certi giochi o cortocircuiti verbali; l'espressione di un'inquietudine dell'io – vuoi in forma di straniamento o di malinconia, oppure di nostalgia verso un altrove effettivamente vissuto o anche solo vagheggiato.
La luce dell'infanzia
Tutto questo è verissimo anche in Exfanzia: e lo rivela già, se vogliamo, il titolo stesso della raccolta, nel suo alludere all'infanzia vista da lontano, o meglio da un fuori, anziché da un “in”, da un dentro inclusivo. È come se, ancora una volta, Magrelli avesse trovato un angolo speciale di osservazione sul mondo e sulla vita: qui la luce verso cui il suo sguardo si dirige è appunto l'infanzia, ed è in questa luce che si svolgono le scene. Magrelli è l'osservatore, ma è anche l'osservato: a comparire nei quadri sono i suoi figli, ma è anche lui stesso. E non solo: con lui, con loro, è come se comparisse un'intera costellazione di presenze, di ricordi, di assenze. È come se Magrelli scrivesse da un avvenire già sognato e chiamasse a raccolta, davanti a sé, tutto ciò che ha lasciato un segno e tutti coloro che all'interno di questo avvenire hanno lasciato una traccia.Nella prima poesia sembra proprio lui, quindi, il bambino che palleggia e palleggia, e sembra quasi che i versi gli si rivolgano come fosse un altro, come se si trattasse di un “tu” o un “lui” diversi dal loro autore: “Palleggi e palleggi/in un pomeriggio d'estate, e di calore./Solo col pallone e le sue leggi/quel bambino passava ore e ore/per superare il numero di colpi prefissato:/non allegro, ma assorto,/completamente dedito allo scopo assegnato” – salvo poi rivelarsi finalmente in un “io” nei versi conclusivi: “Era un acconto di felicità, o conforto/verso il futuro, verso i giorni avversi. Forse per questo, adesso, scrivo versi”.
Altrove è il figlio, dichiaratamente: “Tanti anni fa cambiammo frigorifero./Quando lo seppe, mio figlio piccolino,/scoppiò a piangere e lo abbracciò/disperato: non voleva lasciarlo./Io, disperato, invece, adesso abbraccio/quell'immagine”. O la figlia, altrettanto dichiaratamente: “La foto di mia figlia piccolina,/col giaccone da sci,/mi guarda e sembra dirmi:/«Che cosa devo fare? »/Amore mio, non lo so,/non lo sa nessuno./Tu pensa solo a crescere,/a essere felice./Io piango da una parte/perché non so risponderti”.
Altre volte ancora è il padre, o un amico, o un poeta amato.Altre volte ancora, infine, non compare nessuno – e sembra, in questi casi, che l'osservatore sia quello stesso bambino che palleggiava all'inizio, ora cresciuto e disincantato. I versi sfumano allora in riflessioni vere e proprie, in pensieri, in analisi dai toni più disparati. Tanto elegiaci in certe pagine, quanto ironici o perfino caustici in altre.La malinconia, forse, quale tono predominante
La malinconia
La verità è che Exfanzia è una raccolta difficilmente riducibile ad unum. È una raccolta nella quale convivono molti registri, come del resto in tutte le raccolte precedenti di Magrelli. Però forse il registro predominante è quello della malinconia: ma neppure questa tutto sommato è una novità.Al fondo, quello che sentiamo scorrere è un senso di struggimento, perché, per quanto il nostro sguardo e la nostra memoria siano larghi nelle loro possibilità di accoglienza, il tempo e la vita comunque ci sfuggono via dalle mani, e ci lasciano indietro. Vivere è nascere giorno dopo giorno, scriveva Marìa Zambrano: forse è questo che, in Exfanzia, Magrelli prova a fare, seppur nei limiti della parola poetica. Forse è questo ciò che anche lui vuole dirci.
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