Malta, l’isola dal fisco «troppo amico»
di Roberto Galullo
6' di lettura
Nel filmato c’è l’omino che prima ti spiega come creare un business offshore e poi, immancabile tra i Paesi ai quali rimanda, c’è Malta.
È uno dei tantissimi siti in lingua italiana (ma con registrazione all’estero) che offrono online un pacchetto chiavi in mano: la possibilità di aprire una società in appena tre giorni nell’isola a pochi passi dalla Sicilia e un conto corrente bancario per corrispondenza (che comprende e-banking e carta di credito).
Pacchetti chiavi in mano
La tariffa è di 3.500 euro, documenti inclusi e comprensiva di un agente residente sul posto e di un consulente per 12 mesi, ai quali si aggiungono 2.400 euro di tasse annuali. Un altro sito propone addirittura tre pacchetti. Standard a 1.800 euro annuali per le holding senza partita Iva, “plus” a 2.800 euro all’anno per le società commerciali e infine “premium” a 4.800 euro annuali per chi vuole una presenza consolidata. E c’è anche un sito che - per il mese corrente - si spinge a presentare delle vantaggiose “offerte”.
Sono alcuni esempi tra i tanti. Non c’è bisogno di raggiungere la capitale La Valletta, basta un clic da un pc, magari in quel sito che ti spiega cosa accade se il tuo progetto coinvolge anche una società incorporata a Malta e questa si rivolge alla succursale di una banca con sede, che so, a Singapore o Hong Kong.
Fisco e burocrazia amiche
Il sistema fiscale maltese non impone alcuna trattenuta su dividendi, interessi, royalty, sconti e premi per i non residenti. La burocrazia è azzerata e le società maltesi sono soggette a un’aliquota d’imposta del 35%. Malta è l’unico Paese Ue che consente di eliminare completamente la doppia tassazione dei profitti aziendali. Se si decide di trasferire – senza troppi ostacoli in vero – la residenza a Malta è possibile essere assoggettati al regime fiscale che contempla aliquote moderate, fino al 35% per le persone fisiche e con un’Iva al 18%.
Non c’è dunque da meravigliarsi se il 10 maggio il ministro delle Finanze uscente del Nord Reno Westfalia, Norbert Walter-Borjans (Spd), ha definito Malta, come riportano i giornali tedeschi, come «una sorta di Panama» in Europa, nella quale sarebbero presenti circa 70mila società offshore (che per propria natura non sono certo illegittime) e tra le quali spiccano fino a duemila contribuenti tedeschi. L’informazione sarebbe giunta in forma anonima – e poi fatta propria da Walter-Borjans che da anni utilizza fonti e banche dati per dare la caccia all’elusione e all’evasione fiscale che coinvolge il suo Paese – all’Agenzia delle entrate di Wuppertal. «I dati mostrano che le aziende e le persone fisiche utilizzano nelle isole del Mediterraneo società per bypassare le imposte in Germania in grande stile – si legge nel comunicato stampa diffuso dal ministro – e questo in parte avviene con trucchi legali ma spesso avviene per mezzo di società offshore, che servono esclusivamente come sistemi di evasione fiscale».
Germania-Malta: botta e risposte
La notizia, rilanciata con grande clamore dai media maltesi, non è certo passata inosservata e il giorno stesso, alle 12.34, il ministro delle Finanze Edward Scicluna, ha spiazzato tutti con il tweet: «Sparane un’altra». «Da quando il Registro maltese delle società diventa straniero, offshore e tedesco?», ha scritto. Un tweet tira l’altro e c’è chi – tra le risposte che si possono riportare senza scadere nel volgare – ha replicato al ministro maltese che, dopo la vicenda Panama Papers, sarebbe meglio non parlare di trasparenza in salsa maltese. Ad aprile 2016 il nome di Konrad Mizzi, ministro aggiunto presso l’Ufficio del primo ministro, venne citato nei Panama Papers come proprietario di una società a Panama. Mizzi avrebbe aperto la società panamense triangolando con una sede in Nuova Zelanda e una società di servizi finanziari maltese.
Caccia a evasori e «società cartiere»
Fatto sta che non è certo solo la Germania che alza le antenne su Malta. Sono anni che la Guardia di finanza dà la caccia ai pendolari del Fisco, della finanza e del riciclaggio a pochi passi dalla Sicilia. Solo per restare ai fatti più recenti, il 21 febbraio la Compagnia della Gdf di Gallarate (Varese), con l’operazione “Cellular crime” ha smantellato una presunta associazione a delinquere che ricettava e commerciava in Italia prodotti contraffatti. Le Fiamme gialle, coordinate dalla Procura di Busto Arsizio, hanno scoperto che alcune attività economiche locali operavano sostituzioni e riparazioni di iPhone e smartphone utilizzando pezzi di ricambio contraffatti (di produzione cinese), privi delle necessarie attestazioni di qualità, indispensabili per l’immissione in commercio nel territorio della Comunità europea. I materiali venivano acquistati da una società a Malta, che vendeva la merce attraverso specifici siti internet (veri e propri negozi online) e piattaforme di e-commerce.
Le attività investigative hanno permesso anche di individuare la presenza sul territorio nazionale di due basi operative (in provincia di Lecco e Frosinone) utilizzate per gestire e amministrare il “branch italiano” della società maltese, nonché spedire su tutto il territorio nazionale, verso i clienti della società, i pacchi relativi alla merce acquistata dai siti internet. Una prima stima ha permesso di quantificare in circa 4,5 milioni l’imponibile sottratto a tassazione.
Pochi giorni prima, il 16 febbraio, la Gdf di Siracusa ha arrestato un ingegnere siracusano per corruzione e ha sequestrato la sede della società di ingegneria Tecnass Srl. Secondo l’accusa – le indagini sono state coordinate dal Procuratore capo Francesco Paolo Giordano e dirette dai sostituti Tommaso Pagano e Margherita Brianese – l’ingegnere avrebbe creato tre società “cartiere”, o di comodo, (Malta Tecnass Holding Ltd, New Pro Engineering Ltd e Tremme Ltd) al solo scopo di far confluire a Malta i soldi degli illeciti commessi.
Il 3 novembre 2016 la Gdf di Livorno ha indagato su un complesso giro di società, una delle quali maltese e di prestanome per potere sfuggire al fisco e agli effetti delle sentenze di fallimento. Proprio per un fallimento le investigazioni hanno appurato che, per sfuggire ai creditori, nel 2012 avvenne la costituzione di un soggetto giuridico di diritto maltese che ha proseguito la stessa attività commerciale della società fallita e addirittura nello stesso punto vendita. La società maltese faceva solo formalmente capo a un prestanome (di origini italiane, iscritto all’Aire) che si avvaleva sul territorio livornese dell’attività di un procuratore, originario del Kazakistan, prima dipendente della società decotta. Le indagini hanno appurato come il soggetto livornese, arrestato, fosse il vero amministratore di fatto anche della nuova società di cui aveva collocato fittiziamente la residenza fiscale a Malta, senza presentare in Italia le relative dichiarazioni dei redditi, come invece avrebbe dovuto fare, essendo qu il luogo d’esercizio d’impresa e l’effettiva gestione e direzione amministrativa del soggetto giuridico.
L’ombra delle mafie
Ma non sono solo la delinquenza ordinaria, le società cartiere e l’elusione o l’evasione fiscale via Malta a preoccupare. Il 18 gennaio la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria ha ascoltato il Comandante generale della Gdf Giorgio Toschi, che ha messo un dito sulla piaga: l’offerta di gioco d’azzardo online, che interessa principalmente il fenomeno della presenza in rete di innumerevoli casinò e altri siti analoghi non autorizzati a operare in Italia. Anche grazie alla collaborazione della Gdf e, in particolare, del Nucleo speciale frodi tecnologiche, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha inibito a più di 6.200 siti non autorizzati di operare il gioco online. Il settore è molto attrattivo per gli interessi della criminalità organizzata, sia per l’alta remuneratività che per la possibilità di riciclare i proventi di altre attività illecite sia, infine, per consolidare il controllo del territorio.
A solo titolo esemplificativo Toschi ha ricordato l’operazione «Gambling» del 22 luglio 2015 della Dda di Reggio Calabria (procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, pm Sara Amerio, Luca Miceli e Stefano Musolino) che ha portato alla luce una presunta associazione per delinquere di stampo mafioso costituita da soggetti affiliati alla ’ndrangheta che, avvalendosi di società estere di diritto maltese, ha esercitato abusivamente e per diverso tempo l’attività del gioco e delle scommesse sull’intero territorio nazionale, attraverso una ramificata rete di centri di trasmissione dati collegati a bookmaker esteri privi di concessione a operare in Italia. Sono state inizialmente 41 le ordinanze di custodia cautelare eseguite, con il sequestro di 45 imprese, 1.500 punti commerciali per la raccolta di giocate e 82 siti internet nazionali e internazionali. All’epoca vennero effettuati sequestri per due miliardi.
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