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Manager e imprese innovatrici sanno superare l’incerta congiuntura attuale

A ottobre 2022 il Fondo monetario internazionale aveva previsto una variazione del Pil italiano, per il 2023 pari a -0,2%

di Valerio De Molli

(muse studio - stock.adobe.com)

4' di lettura

A ottobre 2022 il Fondo monetario internazionale aveva previsto una variazione del Pil italiano, per il 2023 pari a -0,2%. La perma-crisi (termine dell’anno 2022 secondo il Collins) in essere aveva influenzato pesantemente in modo negativo le aspettative di crescita per il 2023. L’ultima previsione Istat, rilasciata a giugno 2023, stima un +1,2%: una potente revisione al rialzo.

Il quadro positivo non deve però far passare in secondo piano gli elementi negativi, primo su tutti il marcato calo della produzione industriale. Il calo di aprile (-1,9% rispetto a marzo) è la quarta flessione congiunturale consecutiva e, osservando i valori tendenziali, la variazione aprile 2022-aprile 2023 è pari a una flessione del 7,2%.

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Le difficoltà del nostro settore industriale hanno molteplici cause: oltre a quelle che ormai possiamo definire croniche (alta inflazione, con conseguenti alti costi energetici e logistici), il raffreddamento diffuso in Europa, e in Germania in particolare, ha significative conseguenze per il nostro Paese.

Il 13% dell’export italiano è diretto verso la Germania. Le nostre esportazioni, inoltre, sono in buona parte costituite da prodotti semilavorati (35,1% del nostro export), destinati a entrare in cicli produttivi di altri Paesi: di questi prodotti semilavorati, il 14,8% va a rifornire le catene produttive tedesche. È quindi inevitabile che la recessione tecnica della Germania si rifletta anche in Italia.

Un secondo punto di attenzione riguarda l’implementazione del Pnrr, su cui dopo mesi di silenzio e assenza di informazioni è stata fatta luce grazie alla Terza relazione semestrale al Parlamento, pubblicata a fine maggio.

Il dato quantitativo cardine su cui impostare ogni analisi è che, tra inizio gennaio e maggio, il nostro Paese ha speso 1,2 miliardi di euro sui 33,8 miliardi programmati entro l’anno: il 3,5%. Analizzando l’andamento complessivo sull’orizzonte pluriennale 2021-2026, l’Italia ha speso il 13,4% dei 191,5 miliardi a disposizione. Il dato è però “falsato” dalle Missioni 1 e 2, in cui risulta speso rispettivamente il 19,2% e il 18,7% del totale grazie a due misure (Transizione 4.0 e Superbonus) che, configurandosi come crediti d’imposta, non richiedono un particolare coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche.

Risulta interessante, inoltre, riflettere sulle scelte lessicali adottate in questi contesti: si parla sempre di “spendere” le risorse Pnrr, e mai di “investire”. C’è una sostanziale differenza: “spendere” i soldi non è necessariamente difficile, ma “investire” per ottenere risultati significativi è molto più complesso.

Propongo quindi un cambio di paradigma, che auspico non sia solo lessicale ma anche di sostanza: non parliamo più di “spendere” i fondi Pnrr, dobbiamo investirli.

In sintesi, quindi, un quadro con alcune ombre, che si riflettono sulle aspettative della business community italiana, che dopo un rimbalzo di ottimismo nel primo trimestre dell’anno sono tornate a contrarsi. Il sentiment della business community è misurato attraverso l’Ambrosetti Club Economic Indicator, un indicatore che lo misura tramite una survey somministrata a oltre 400 fra i principali capi azienda italiani e internazionali operanti nel Paese. L’indicatore va da -100, massima sfiducia, a +100, totale ottimismo. La rilevazione di giugno 2023 posiziona la fiducia attuale al 32,4, un valore oltre quindici punti inferiore alla release precedente, ma pur sempre in area positiva.

Una flessione molto più contenuta si osserva con riferimento alle prospettive occupazionali, in cui l’indicatore perde poco meno di due punti rispetto ai valori di marzo, passando da 37,9 a 36,1. I dati occupazionali sono, a tutti gli effetti, molto positivi: ad aprile 2023, sono stati registrati 390mila occupati in più rispetto ad aprile 2022 (+1,7%), contestualmente a una riduzione sia del numero di persone in cerca di un lavoro (-3,5%, pari a -72mila persone) che di inattivi (-3,0%, pari a -383mila).

La fotografia più problematica è rappresentata dalle previsioni sugli investimenti, in calo per il secondo trimestre consecutivo e posizionate ad un valore di 25 punti. Il ruolo della politica monetaria è, in questo contesto, dirimente. L’ultimo – ennesimo – rialzo dei tassi ha portato il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 4% – ed era 0% un anno fa. Vale la pena riflettere sul fatto che questa stretta monetaria senza precedenti ha avuto effetti veramente contenuti sulle dinamiche inflattive. Come detto da più parti – e dalla stessa Bce! – le dinamiche alla base dell’inflazione sono di natura esogena e non controllabile attraverso la manipolazione dei tassi d’interesse: il prezzo dei beni energetici e quella che è stata definita greedflation. Questa è causata – per usare le parole della presidente Lagarde – «dalle imprese che sono state in grado di aumentare i propri
margini di profitto grazie allo squilibrio tra domanda e offerta e all’incertezza creata da un’inflazione elevata e volatile».

L’aumento vertiginoso dei tassi si è quasi immediatamente riflesso sui prestiti erogati alle imprese: il tasso d’interesse medio dei prestiti è passato dal 1,2291 di aprile 2022 al 4,5218 di aprile 2022, generando una riduzione dell’1,9% dei prestiti erogati.

Il clima d’incertezza che permea il tessuto economico italiano ed europeo non è sicuramente il contesto più favorevole per guardare con ottimismo al futuro. Concludo, però, citando nuovamente i dati con cui ho aperto: ad ottobre, 2022 avremmo dovuto chiudere l’anno in corso con un Pil in calo dell0 0,2%, mentre ad oggi stimiamo di crescere dell’1,2%. Nelle difficoltà riusciamo a vedere le vie d’uscita, e questo è indubbiamente uno dei nostri maggiori punti di forza. Evviva i «perma-innovatori» e «perma-ottimisti» imprenditori e manager italiani.

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