Tempesta perfetta

«Mancano i componenti, filiere ferme»

Barbara Ganz

3' di lettura

Le imprese venete sono pronte a far ripartire l’export, ma un fattore rischia di bloccare la ripresa: gli approvvigionamenti di materie prime dai Paesi del Sud Est asiatico.

Il tanto atteso rimbalzo dell’economia dopo il crollo legato alla pandemia è minacciato dalla carenza di componenti. Una emergenza trasversale a diversi settori, dal legno arredo alle costruzioni fino ai macchinari industriali.

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L’allarme parte da Unioncamere Veneto che, analizzando i dati Istat, calcola che il 2020 si chiuda con una perdita di fatturato estero di oltre 5,3 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. Un segnale di come la pandemia abbia duramente compromesso le vendite globali delle imprese venete:  i ricavi internazionali nel 2019 avevano raggiunto il valore record di 65 miliardi di euro, nel 2020 il dato è arretrato sotto il 60 miliardi, in calo dell’8,2% su base annua, flessione leggermente meno marcata rispetto alla media nazionale (-9,7%). Facendo un confronto, si tratta comunque di un calo più limitato di quello registrato nell’anno della crisi finanziaria mondiale del 2009 (-21,5%), «a riprova della forte vocazione internazionale dell’industria veneta e della solidità delle imprese anche in un momento così complesso», si legge nello studio.

E le ultime previsioni di Prometeia vedono per il Veneto un rimbalzo delle esportazioni di beni quest’anno del +6,7% grazie al traino dai Paesi extra-Ue. Ecco perché preoccupa la carenza dei rifornimenti che il blocco di Suez ha solo aggravato: «È un fattore latente che rischia di bloccare la ripresa delle nostre aziende anche in termini di export. Infatti Cina e Sud-Est asiatico stanno correndo più di noi, e hanno tutto l’interesse a favorire, nelle forniture, le loro aziende, piuttosto che farle arrivare a noi - dice il presidente di Unioncamere del Veneto, Mario Pozza. Sono diverse le aziende che mi segnalano difficoltà di approvvigionamento. È un tema di politica industriale da gestire a livello europeo: bisogna ridurre la nostra dipendenza economica dalla Cina e attuare un piano di rientro, possibilmente in Italia o almeno in Unione europea, di produzioni strategiche». Per il presidente di Ance Veneto, Paolo Ghiotti, «sono rincari a valori inaccettabili che creano grosse difficoltà perché hanno decorrenza istantanea e incidono sui preventivi già fatti senza alcuna possibilità di revisione».

Qualche esempio solo per il settore edile con le percentuali di incremento medio dei costi di alcuni materiali: legno (+35%), calcestruzzo (+10%), ferro (+25%), polimeri (+25%), guaine e rame (+10%), pvc/xps/polistirolo (+23%), guanti monouso (+ 30%), La stessa preoccupazione è stata rilanciata dal presidente di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti, che ha spiegato come diverse imprese, dall’elettrodomestico al legno arredo, abbiano dovuto rallentare o addirittura prevedere settimane di cassa integrazione per la mancata disponibilità di componenti.

Componenti che tipicamente arrivano dai Paesi dell’Est, e sui quali si somma una serie di fattori tutti avversi: il rincaro dei costi di noleggio dei container, ma anche la grande domanda di beni industriali di alcune tipologie: «L’emergenza sanitaria ha piegato alcune spese delle famiglie, dalla moda ai viaggi alla ristorazione – spiega Federico Giudiceandrea, presidente della Microtec di Bressanone – che ora si concentrano, ad esempio, sulla casa, sul mobilio. Ma mancano componenti per diverse filiere: le lamiere, ad esempio, o le memorie per i computer». L’azienda di Giudiceandrea è leader mondiale nello sviluppo e produzione di sistemi di scansione nel settore della lavorazione del legno.

«Da settimane l’attesa per un ordine si è allungata a diversi mesi. Il nostro ufficio acquisti si sta attrezzando con acquisti a lungo termine, per parare difficoltà che potrebbero arrivare. Il lockdown ci ha abituati a questo tipo di emergenza: lo scorso febbraio ad esempio viti e bulloni erano diventati introvabili. Ci sarà da riflettere sull’opportunità di riavviare in Europa produzioni che mancano da anni, per evitare di trovarci in difficoltà. Lo abbiamo fatto per le mascherine, gli stessi governi dovrebbero riflettere sull’opportunità di incentivare questa forma di ricostruzione di intere filiere».

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