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Måneskin miglior rock band agli Mtv Emas: i 5 segreti del loro successo

Nuovo trionfo per la band romana agli European Music Awards di Budapest. Rappresentano la musica nell’epoca della sua riproducibilità su TikTok

di Francesco Prisco

I Maneskin da Ellen DeGeneres, cantano Beggin'

4' di lettura

Benvenuti nell’età dell’«hardrocchino». Ripartiamo da qua, da quel neologismo cattivello che inventammo dopo il primo ascolto di Zitti e buoni per provare a capirci qualcosa in più sul fenomeno musicale dell’anno: i Måneskin. Che vi piacciano o no, il 2021 è roba loro: dopo Sanremo, l’Eurovision Song Contest, i piazzamenti nelle classifiche Usa e Uk e l’apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas, si sono laureati miglior rock band agli Mtv Emas, prima volta in assoluto per un gruppo italiano. Davanti a una concorrrenza composta da Coldplay, Foo Fighters, Imagine Dragons, Kings Of Leon e The Killers.

Cosa è successo a Budapest

È successo a Budapest dove il frontman Damiano, la bassista Victoria, il chitarrista Thomas e il batterista Ethan hanno intrattenuto il pubblico della nuovissima Papp László Budapest Sportarén con il loro ultimo singolo Mammamia, accompagnati da un gigantesco cartello con il titolo della canzone dal quale sono poi esplosi fuochi d’artificio. Ed Sheeran, che ha ottenuto i riconoscimenti per «Best Artist» e «Best Song», ha aperto la serata circondato da graffiti al neon con il suo ultimo singolo Overpass Graffiti, prima di interpretare la hit Shivers. A presentare l’evento Saweetie, vincitrice anche nella categoria «Best New». Sul palco anche Maluma, vincitrice del «Best Latin», e gli Imagine Dragons, tornati agli Ema con il nuovo singolo Enemy colpiti da un fuoco di luci laser.

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Quanto alla gara, a ottenere il maggior numero di premi con quattro riconoscimenti tra cui «Best Pop», «Best K-Pop», «Best Group» (battendo anche i Måneskin) e «Biggest Fans» è stata la band sudcoreana Bts. Lil Nas X è stato premiato per il «Miglior video» con Montero (Call Me By Your Name), mentre Nicki Minaj ha vinto il premio «Best Hip-Hop». Il «Best Italian Act» è andato, invece, al rapper Aka 7even che l’ha spuntata su Caparezza, Madame, Rkomi e proprio i Måneskin. Tornando a questi ultimi: quali sono i segreti del loro successo? Proviamo a rispondere.

L’opera musicale nell’epoca della sua riproducibilità su TikTok

Fino a un paio di anni fa, traguardi del genere sarebbero stati impensabili per una rock band italiana. L’assunto era noto: per esportare musica «Made in Italy» dovevi proporre il bel canto, Verdi, Puccini, l’eterno ritorno a Enrico Caruso, la sottile linea tricolore che unisce Pavarotti, Bocelli, il Volo. Al massimo qualcuno si imponeva sul mercato Latin (Laura Pausini) o della dance. Poi è arrivato TikTok, un social che si nutre di musica, trasformando in meme gli artisti attraverso un sistema di distribuzione dei contenuti-canzoni piuttosto disintermediato. I Måneskin si sono trovati perfettamente a loro agio a nuotare in questo mare. Se ci pensate, sempre fino a un paio di anni fa era impensabile pure che sette ragazzi coreani si laureassero miglior band del mondo. E invece eccoteli là i Bts, veri campioni dell’opera musicale nell’epoca della sua riproducibilità su TikTok.

Italian sounding

Se ci riflettete un attimo, l’Italia è una componente fondamentale del successo internazionale dei Måneskin. Qual è il loro pezzo dalle migliori performance nelle classifiche americane e inglesi? Beggin’ dei Four Seasons, la band doo-wop di Frankie Valli, quattro simpatici paisà del New Jersey (se non lo avete ancora fatto, guardatevi il bellissimo film Jersey Boys di Clint Eastwood). È un dato indicativo: il mercato americano accetta gli artisti italiani quando propongono un modello coerente con l’idea che negli Usa hanno del nostro Paese e i Måneskin di Beggin’ sono esattamente quella roba là. Lo hanno capito, tanto è vero che l’ultimo singolo si chiama Mammamia, è interamente cantato in inglese fino al verso: «They ask me why I’m so hot, ’cause I’m Italiano». Just like pasta e fasule.

Fluidità glam

La rivoluzione sessuale nella musica è roba di 50 anni fa: la dobbiamo a gente come David Bowie, Lou Reed, Marc Bolan. Il glam era un genere «fluido» prima ancora che inventassero il termine fluido. I Måneskin si sono appropriati di questo immaginario, griffandolo Gucci, rendendolo di sicuro meno impegnativo e, se possibile, ancora più cool. Si affidano a Nick Cerioni, stesso stylist di Achille Lauro e a margine dell’evento di Budapest stoccano la politica italiana sulla faccenda Ddl Zan: «Quest’anno, in particolare, bisogna andar fieri del nostro paese per i risultati raggiunti non solo da noi, ma da tanti sportivi e da personalità della cultura», dicono Damiano e compagni. «Peccato per i diritti civili, dove continuiamo a rimanere indietro e invece per noi sarebbe stata la vittoria più importante». Rivisitazione del concetto di intellettuale organico ai tempi della comunità Lgbt+.

Sono nuovi, ma sono vecchi

Se è vero che facciamo la fila per vedere al cinema il remake di Dune e ancora ci commuoviamo al ricordo di A Star is Born, film in cui Lady Gaga nel 2018 rifaceva una parte che nel 1954 era stata di Judy Garland, questa è l’epoca del revival. E i Måneskin sono una grande revival band. Sono nuovi, proprio perché sono «vecchi»: le loro setlist sono imbottite di cover in stile, il loro brano di maggior successo è, appunto, una cover. Un nuovo ascoltatore, specie se inglese o americano, non deve fare poi questa grossa fatica per conoscerli. Perché già li conosce.

Grande lavoro di posizionamento

Se ti qualifichi in Champions, investi per rafforzare la rosa in vista della stagione successiva. Se arriva lo scudetto, magari investi ancora di più per piazzarti in alto in Europa. Vale nel calcio, ma la musica non ragiona tanto diversamente: i Måneskin hanno vinto Sanremo un po’ a sorpresa e l’Eurovision Song Contest perché, ormai da qualche anno, era nell’aria che dovesse capitare a un artista italiano. Legittimo, per non dire doveroso tentare la carta del mercato internazionale.

I Maneskin insigniti dell’Ema come migliore rock band (Afp)

Sony Music, loro casa discografica, ed Exit Music, società di management fondata dall’A&R di Sony Fabrizio Ferraguzzo e Marica Casalinuovo, produttore esecutivo di Fremantle Italia, con lo scopo di gestirli, stanno lavorando benissimo in questo senso. I feat. con Iggy Pop non piovono dal cielo, stesso dicasi per le ospitate dal Tonight Show di Jimmy Fallon o per il ruolo di supporter ai concerti dei Rolling Stones: se ti fanno salire su una «barca» del genere, significa che su di te hanno investito e pure parecchio. Se parliamo di «return on investment» finora, negli States, hanno riempito due club da 500 spettatori e non sono andati oltre il 13esimo posto in classifica Billboard con Beggin’. Se l’investimento pagherà, ce lo dirà un giudice molto più severo di Manuel Agnelli, secondo cui i Måneskin sarebbero «i Beatles italiani». Un giudice che si chiama tempo.

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