intervista

Manfredi Ricca: «Nel 2018 Cina cliente top per il lusso»

di Giulia Crivelli

Manfred Ricca

3' di lettura

Parla di «rivoluzione copernicana» Manfredi Ricca, Chief strategy officer di Interbrand per Emea e America Latina, per spiegare i principali cambiamenti ai quali il mondo del lusso va incontro nel 2018. O meglio, di rivoluzioni, al plurale. Stati Uniti ed Europa a gireranno intorno alla Cina, non più viceversa. Per la distribuzione, internet e i social network saranno l’equivalente del Sole: i canali tradizionali non ne saranno oscurati, bensì illuminati, direbbe Copernico. Inarrestabile anche il ruolo della trasparenza e della sostenibilità, specie per attrarre i Millennials. Per restare alla metafora astronomica, le stelle di influencer e blogger brilleranno forse un po’ meno: i brand del lusso hanno bisogno di «legami forti» con i consumatori, non di scorciatoie.

Nell’edizione 2017 del vostro studio Best Global Brands, pubblicata a settembre, ai primi due posti ci sono, com’era successo nel 2016, Apple e Google. Al terzo posto c’è Microsoft, che fa scendere Coca-Cola al quarto. La tecnologia regna su tutto?

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Sì, ma ha bisogno dei brand, che sono l’unico connettore tra le possibilità offerte dalle innovazioni e le aspettative delle persone. Una visione che offre grandi opportunità ai marchi del lusso. Nella classifica Interbrand, nei primi cento posti gli italiani sono Gucci, Prada e Ferrari. Come dire che l’Italia è rappresentata dall’alto di gamma.

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Nel 2018 cosa succederà?

Non ho sfere di cristallo e l’altra faccia della tecnologia che galoppa e trascina ogni settore, basti pensare alla finanza, è che fare previsioni è sempre più difficile. Ci stiamo abituando a una volatilità e incertezza che forse fino a qualche anno fa ci avrebbe completamente disorientato. Ma di una cosa possiamo essere abbastanza sicuri: alcuni megatrend visti nel 2017 si rafforzeranno. Da semplici cambiamenti diventeranno “rivoluzioni permanenti”.

Può fare degli esempi?

Gli Stati Uniti e l’Unione europea lasceranno la leadership di acquisti di lusso ai cinesi. Sia come mercati che come nazionalità. L’e-commerce sarà l’unico canale a crescere a due cifre, specie nei Paesi dove assorbe ancora meno del 10% dei ricavi. I negozi fisici non spariranno, ma daranno sempre più spazio a servizi di personalizzazione, che funzionano molto meglio se vengono offerti dal vivo.

Ha parlato della centralità dei brand. Ci sarà maggiore ostentazione, torneranno i loghi?

Al contrario: i consumatori, specie i Millennials, vogliono potersi fidare di un marchio e pretendono trasparenza e comportamenti coerenti. Non lo scelgono perché denota la loro capacità di spesa o lo status sociale, ma perché racconta qualcosa di loro. Intendevo questo con “connettore”, a maggior ragione visto il crescente ruolo della tecnologia nel lusso.

Tornando al web, crescerà il ruolo dei social network?

Credo di sì e per i brand, vista la centralità della Cina, è importante studiare strategie ad hoc per i clienti asiatici, non esportare modelli collaudati su mercati più maturi. Nel 2017 hanno lavorato molto bene su questo fronte marchi come Gucci, Fendi e Prada.

E gli influencer?

Usarli è una tattica, quasi una scorciatoia, e può dare frutti nel breve periodo, ma le strategie di medio e lungo termine si basano su ben altro. Dico sempre che Hermès non ha bisogno di influencer. Ma di Hermès forse ce n’è uno solo... Non demonizzo nessuno: credo che i Millennials amino partecipare al grande gioco della moda anche guardando a influencer e blogger.Allo stesso tempo però sanno riconoscere le competenze, la coerenza, la sostanza.

Chi sono i suoi “osservati speciali” per il 2018?

Burberry, dove Marco Gobbetti ha impostato un interessante turn around. Céline, che ha dovuto dire addio a Phoebe Philo, la stilista che, proprio con Gobbetti, ha fatto “esplodere” il brand. E Dior, dove Maria Grazia Chiuri potrebbe fare la differenza, come Alessandro Michele da Gucci.

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