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Mango e Boglioli, la collaborazione scommette sull’appeal del formale maschile

Le otto giacche realizzate dal gruppo catalano del fast fashion con l’azienda di Gambara rappresentano un esempio del nuovo menswear «smart» che ha ripreso a crescere dopo il Covid

di Marta Casadei

3' di lettura

Il gruppo del fast fashion catalano Mango ha da poco annunciato la prima collaborazione con il marchio italiano delle giacche tailor made Boglioli. Un’alleanza inedita che da un lato rappresenta una conferma per l’azienda bresciana (rilanciata nel 2017 dopo un periodo di crisi) e dall’altro una scommessa sul ritorno dell’abbigliamento maschile formale, dopo il dominio del casualwear post pandemia, anche agli occhi di una clientela giovane e incline a comprare prodotti accessibili (ma non troppo: le giacche Mango designed by Boglioli sfiorano i 300 euro). A patto di un “ripensamento” generale.

L’asse Barcellona-Gambara (e le otto giacche «lombarde»)

La collezione, lanciata a Milano con un evento alla Torre Velasca non ancora aperta al pubblico dopo il massiccio progetto di rinnovamento, conta otto giacche realizzate ispirandosi ai principi della sartorialità che prendono il nome da altrettante città italiane: Cremona, Lodi, Milano, Mantova, Brescia, Como, Monza e Lecco. Per stessa ammissione dell’azienda, due dei pilastri della capsule sono i tessuti italiani (in primis flanella e maglia di lana) e il confezionamento avvenuto in laboratori europei. Non quindi un esempio di fast fashion.

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La linea maschile del gruppo spagnolo ha da poco compiuto 15 anni e chiuderà l’anno con ricavi per 325 milioni di euro (raddoppiando il fatturato rispetto al 2020) e 560 negozi in 90 Paesi. Boglioli ha tutt’altra storia, oltre mezzo secolo di expertise nella creazione di giacche da uomo sartoriali, e dimensione: l’azienda di Gambara, in provincia di Brescia, dopo un periodo difficile e il successivo passaggio di proprietà (dal 2017 è al 100% di proprietà di Phi Industrial Acquisitions) a giugno si aspettava un fatturato 2023 di 20 milioni di euro, contro i 17,5 milioni del 2022.

Il momentum dell’abbigliamento formale

Mango ha già all’attivo una serie di collaborazioni con altri brand e contrariamente ad altri concorrenti ha spesso preferito etichette di nicchia a marchi blasonati (come quelli coinvolti da H&M, da ultimo Paco Rabanne): a maggio, per esempio, ha lanciato una capsule con il brand californiano Simon Miller. Questa è però la prima volta che si lega a un brand di abbigliamento formale maschile made in Italy. La scelta, di fatto, interpreta una tendenza in corso: il ritorno del formalwear dopo tre anni in cui abbigliamento casual e sportivo hanno spadroneggiato nei guardaroba di tutto il mondo. Secondo Euromonitor nel periodo 2022- 2026 le vendite retail di camicie, bluse, pantaloni e gonne non in denim cresceranno a un ritmo più alto dei 10 anni precedenti. Nel report The State of Fashion 2023, che veniva pubblicato a fine dicembre 2022 con le previsioni per quest’anno, gli analisti di McKinsey avevano parlato di un’accelerazione del formalwear - scaturita dal rimbalzo registrato nel 2021 e 2022 - che sarebbe continuata nel corso del 2023, con una crescita particolarmente elevata nel segmento di abbigliamento per le grandi occasioni, ma un possibile rallentamento legato alle condizioni economiche generali. Nel dettaglio il 39% degli executive intervistati ha scommesso sulle vendite di abbigliamento per le grandi occasioni nella top 3 per crescita nel 2023; il 27% ha invece inserito sul podio l’abbigliamento da lavoro.

La sartorialità smart sfida la crisi?

Proprio la sartorialità “smart” rappresenta la chiave di volta per interpretare i gusti di una clientela che, durante la pandemia, è profondamente cambiata. E potrebbe essere un driver per le vendite del formale maschile, “assediate” - come tutto il comparto - dalla crisi.

Sebbene la moda maschile italiana (che nel 2022 aveva fatturato 11,3 miliardi contro i 10,1 miliardi del 2019, dato che ovviamente incorpora l’aumento dei prezzi) abbia iniziato l’anno in crescita sotto la spinta dell’export, lo stallo del mercato Usa e la partenza a rilento di quello cinese, uniti al perdurare della guerra in Ucraina e ora al conflitto tra Israele e Hamas, si stanno riflettendo nei bilanci di tutti i big player della moda di fascia alta.

Con alcune eccezioni: il gruppo Zegna (cui fanno capo Zegna, Thom Browne e dal 2022 Tom Ford Fashion) nei primi nove mesi ha registrato ricavi per 1,33 miliardi di euro, in aumento del 22,9% su base annua con una crescita organica del 19,2 per cento. Nel dettaglio, nel terzo trimestre (quello più difficile per il lusso) i ricavi di Zegna sono saliti del 3% su base annua a 298 milioni di euro e quelli Thom Browne del 6,3% a 74 milioni di euro. Risultati positivi anche per Brioni: nel terzo trimestre, con le vendite del gruppo Kering calate del 9% e i tre marchi principali con segno meno, le vendite dell’azienda di Penne ha «sono cresciute in modo robusto, grazie all’efficace combinazione tra offerta di sartoria e abbigliamento per il tempo libero». Il prossimo 2 novembre saranno disponibili i dati sulle performance dei primi nove mesi 2023 di Hugo Boss che nel primo semestre aveva registrato vendite in salita con la linea Boss menswear arrivata a fatturare 1,5 miliardi (+21% sul 2022).


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