Manifattura, aumentano le aziende italiane che cercano fornitori domestici
La tendenza confermata anche dall’indagine condotta dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere
di Nicoletta Picchio
I punti chiave
3' di lettura
Una riconfigurazione delle filiere produttive, con un aumento delle aziende italiane che cercano fornitori all’interno del paese: è la conseguenza più evidente dei fenomeni che si sono succeduti in questi anni, dall’aumento delle tensioni geopolitiche, ad una globalizzazione che non ha mai coinvolto pienamente tutte le economie del mondo, passando per la Brexit, la pandemia e l’invasione russa in Ucraina. L’insieme di questi fattori ha cambiato lo scenario di riferimento e nell’ultimo triennio si è rivelato problematico governare le interdipendenze globali produttive e di fornitura, specie per le imprese che hanno una scarsa diversificazione dei fornitori.
Backshoring di fornitura
La reazione delle aziende si è concentrata maggiormente su un “backshoring di fornitura” (cioè il rientro in Italia), c’è stato invece un uso limitato del “backshoring di produzione”, una strategia più complessa rispetto a quella di fornitura, specie per i costi elevati irrecuperabili legati agli investimenti nel paese di destinazione.
È lo scenario che emerge dall’analisi del Centro studi di Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy) sulle strategie di offshoring e reshoring delle imprese manifatturiere italiane. Lo studio è stato avviato a giugno 2021 e completato a febbraio 2022, il totale delle imprese rispondenti è di 762, più del 90% pmi e più di 7 imprese su 10 hanno una propensione ad esportare superiore al 10% del loro prodotto. La ricerca completa sarà presentata il 22 settembre: le grandi tendenze emergono da una nota diffusa.
L’aumento dei fornitori italiani
A confermarle anche l’indagine condotta dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere ad aprile 2023. Circa il 75% di chi ha risposto all’indagine Csc&Re4It ha acquistato forniture totalmente o parzialmente da imprese estere e il 21% di queste tra il 2016 e il 2020 ha effettuato un backshoring totale o parziale di fornitura. La quota di imprese intervistate dal Centro studi Tagliacarne-Unioncamere che dichiarano un aumento dei fornitori italiani oscilla tra il 15% (se si tratta di locali, cioè presenti nella stessa Regione) e il 20% (al di fuori della Regione).
Meno distanza, più qualità
Se si approfondiscono i motivi della scelta tutte e due le ricerche individuano nella maggiore resilienza, nella riduzione della distanza e nel miglioramento della qualità dei prodotti i principali fattori che influiscono sulla scelta di rilocalizzare i propri fornitori in Italia. Un altro elemento messo in evidenza è che la scelta del backshoring di fornitura è del tutto compatibile con l’offshoring di produzione: rilocalizzare la catena di fornitura non comporta necessariamente dover spostare eventuali attività produttive svolte all’estero, anzi in certi casi può costituire una modalità di rafforzamento della catena globale del valore.
Strategie di attrazione degli investimenti
I risultati dell'indagine, sottolinea il testo, offrono anche spunti d'azione per il legislatore politico, incentivando il backshoring con strategie di attrazione degli investimenti, aumentando l'attrattività del territorio e la promozione della competitività delle imprese. Si può agire sfruttando sinergie con le politiche già esistenti a favore del Green Deal, della digitalizzazione e del miglioramento delle competenze.Il fattore sostenibilità influenzerà la scelta: l'accorciamento e la regionalizzazione delle catene del valore appaiono legate ad un aumento della sostenibilità, in quanto consentono la riduzione delle emissioni e un maggior controllo etico-sociale delle produzioni. Non sembra auspicabile e nemmeno concreta la prospettiva di un backshoring su larga scala. Sarebbe piuttosto auspicabile, dice la nota, che la rilocalizzazione in Italia riguardasse principalmente le attività strategiche e quelle a più alto valore aggiunto.
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